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Inaugurazioni

Sommelier Social Club nel tuo negozio per far brindare i tuoi clienti

Ecco finalmente spalancate le porte del tuo nuovo negozio! Quale miglior modo di festeggiare insieme ai tuoi nuovi clienti, se non brindare con una incredibile scelta di sorprendenti bollicine? O di inarrivabili vini fermi o di golosissime birre artigianali?

Potrai dedicarti completamente ai tuoi clienti, mentre noi penseremo all’allestimento del Wine & Beer Cornere al servizio dei vini o delle birre agli ospiti che vorranno brindare a questa nuova apertura.

Ovunque si festeggi e ci sia voglia di buon bere, Sommelier Social Club può fare al caso tuo!

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Feste Private

Sommelier Social Club a casa tua per far brindare i tuoi ospiti

Ospiti da deliziare con una sorprendente offerta di birre artigianali e vini naturali, biologici, biodinamici e, sopra ogni dire, spropositatamente golosi? Eccoci!

Festa di compleanno? Battesimo, Cresima, Comunione? Eccoci!

Seratina a bordo piscina? Eccoci!

Ovunque si festeggi e ci sia voglia di buon bere, Sommelier Social Club può fare al caso tuo!

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TERROIRVINO 2014: Genova, Porto Antico

Terroirvino

 

I Pirati approdano a Genova.
Forti della loro maglietta nera VGM che li corazza contro la pioggia e dà quel senso di appartenere ad una ciurma più grande, scendono non direi proprio a rotta di collo, giù da Piazza Principe al Porto Antico. Seguendo i cartelli stradali, in realtà, ché la bussola non è proprio tarata su questa nuova latitudine enologica. Genova sotto il cielo grigio e un po’ lacrimoso è comunque calda: un po’ cupa, come un quieto rimbombo, un pulsare lento che ti segue dappresso.
Porto Antico non è mica la piazzetta davanti al bar! E i Magazzini del Cotone? Subito a chiedere, lì a quel bugigattolo nel mezzo della spianata, che un’idea maligna e arrogante ci aveva subito fatto pensare abbandonato. Invece, lo sapete come sanno essere gentili questi liguri capitali col turista che domanda? Forse sì, la signorina info point non poteva dedurre trattavasi di Pirati: altro ne sarebbe sortito, un fuggi fuggi, tutto un allarme, un al fuoco!, all’assassino! Ma noi siamo gente sorridente.
Tant’è che, percorsa tutta la banchina, girato attorno all’acquario e alla biosfera [che nel frattempo immaginavamo come riuscire a far rotolare fin all’uscio di casa], avvistato il corpo compatto dei Magazzini, ivi dirigiamo spediti e curiosi i nostri passi. Già non c’era più tempo da perdere, perché se è tiranno al minimo momento d’entusiasmo, figuratevi come fugge allor che le vele spiegate v’attendono per un rientro stabilito!
Simpaticissimo, non c’è che dire, l’omino nasone che usma nel bicchiere. Ci siamo, la rotta è seguire questa illuminante locandina su e giù per scale mobili. Gli spazi, d’acchito, subito c’impressionano: dov’è tutto quello strettume che ti balza in mente allorchè senti dire Liguria? I Magazzini sono una piazza d’armi, luminosi e ampi e senza ressa! Che la trasformazione in dimora enologica abbia fatto accurata selezione rispetto alla spelonca dello storico camallo del cotone, sembra cosa indubbia. Vorrei sottolineare qui un primo complimento a Filippo Ronco, che va a ribadire quello offertogli in occasione del tour a Novellara: la scelta del luogo lascia anche oggi ammirati. Così lontano, certo, dalla romantica decadenza campagnola del casale emiliano, ma ugualmente entusiasmante per lo scenario di mare che si apre innanzi appena giunti ai piani superiori; tutta un’idea di efficienza, di movimento, di funzionalità è ben sottolineata dallo spazio ampio e bianco riempito di espositori, dalle vetrate immense che osservano il porto, la gente di sotto, l’orizzonte aperto…
A rapporto al banco d’ingresso: presentazione di un ticket degustazione, taschina al collo, bicchiere nella taschina, taccuino e matita nell’una mano e l’altra libera di degustare e stringere altre mani d’amicizia o nuove presentazioni.
Poiché non s’era perso tempo durante la traversata e sulla nostra nave sferragliante non ci eravamo concessi d’indulgere all’ozio, un certo studio della mappa espositiva mi aveva colpito con la presenza di un nome qui di casa in Liguria. Una sorpresa che tosto siamo andati a cogliere.

MACCARIO – DRINGENBERG: rosso, fresco e Dolceacqua.
Piccola denominazione, quella del Rossese di Dolceacqua, piccolissima. Un gioiello rubino incastonato tra le montagne rugose, increspatesi tra il mare e le terre d’intorno: l’ultimo sprazzo di Piemonte, alle spalle, il primo angolo di Francia, d’un lato. La provincia è Imperia. Una denominazione difficile, per via che non è sicuramente agevole di venir qui a coltivar piante, sia pure di scorza come quella della vite. Perché il senso è trarne un frutto che sia perfetto, per donarne al mondo un nettare che sia inebriante, ancorché, purtroppo, rarissimo. Questo, su per giù, il fatidico lavoro di Giovanna Maccarioe Goetz Dringenberg, che hanno letteralmente riportato in vita un cru di Rossese e vinificano altre parcelle con mani fatate.
ROSSESE 2013. Il vino di partenza, senza le seduzioni di un nome di vigna in etichetta che condiziona subito l’assaggio e innalza a piè pari l’aspettativa. E però… Un assaggio non indifferente, un vino già con una bell’anima generosa di sensazioni. Il calore del sorso è notevole, quasi a dispetto di quel nome, Rossese di Dolceacqua, che rimanda più a un delicato rosolio che non a un rosso di certa struttura e nerbo. La nota di spezie è una dominante universale: naso di pepe appena macinato, più nero che bianco, e palato piccante.
ROSSESE DI DOLCEACQUA LUVAIRA 2012. Cru di viti antiche, a S. Biagio della Cima. Oltre alla nota alcolica, una struttura più sostanziosa del precedente e un frutto più marcato. Al retronasale salgono le sensazioni di liquirizia e di erbe mediterranee: è precisa l’immagine di una rupe assolata, la macchia di arbusti a piccole foglie dure e profumate. Lo sfondo è di un elegante equilibrio, vestito di delicate note agrumate. Si coglie questo concetto di “cru”, all’assaggio comparato dei due bicchieri, nella diversa profondità del vino, nel ventaglio più ampio che si svela già al naso.

Questa sorpresa mi permette di sottolineare un secondo complimento al manutengolo di TerroirVino: la qualità degli espositori è assolutamente indiscussa.
Ho conosciuto il nome Maccario-Dringenberg durante una serata dedicata al Rossese, in quella forse meno pittoresca ma quantomai vitale Milano. E rileggerlo lì, sulla presentazione degli espositori genovesi, mi faceva pensare: com’è piccolo a volte il mondo, ma come sempre pieno di magie.

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VGM TOUR: Novellara, Reggio Emilia

VGM Tour, Novellara

 

Scorrere impaziente i secondi che mi separano dal timbrare il cartellino e via, come una scheggia sparata in direzione Novellara! La tappa del VGM Tour è ancora a portata di mano, impossibile mancarla!
Lo scenario è splendido… Un casale adagiato in piena campagna: vigneti, sentieri, campi smisurati tutt’intorno. L’impatto di benvenuto è stato perfetto: come essere davvero arrivato a casa Vinix. La filosofia del VGM espressa in modo lampante: pare proprio che i produttori radunati nella sala siano appena risaliti dalle loro cantine, o abbiano appena lasciato il lavoro delle proprie vigne, per fermarsi a parlare di quello che fanno, per raccontare quello che si trova dentro le loro bottiglie, che è anche un po’ quello che c’è dentro la loro testa.
La sala del raduno appare quantomai estrema. Piccola, ma abbastanza grande da contenere tutti i protagonisti e permettere agli ospiti di girovagare, curiosare e discorrere senza sentirsi costretti. Altissima: come non ci fosse limite alle idee che possono alzarsi libere da ogni persona. Muri vagamenti affrescati donano una sfumatura calda alla circostanza; vagamente scrostati e crepati, rimandano ad antiche radici, alla legge del tempo che tutti i presenti di oggi sanno essere cosa importante da rispettare. Una luce affascinante su tutto: imperfetta, certo, per degustazioni in piena regola, ma non siamo qui per questo: siamo qui per conoscere, imparare, soddisfare una sete e fisica e di curiosità.

Con la cantina ancora custode di alcune bottiglie di Ronco del Balbo, Pignolo, mi accosto in primis a Petrucco, Colli Orientali del Friuli: certo, i suoi bianchi non sono proprio da aperitivo, ma si dovrà pur partire! Il suo racconto è quantomai profondo, dalle radici che dimorano in un certo terreno, all’aria delle correnti che vorticano intorno alla collina, passando per il bosco nel mezzo e tutti i colori delle stagioni. Tocai, Sauvignon, un assaggio di Ribolla, tutti annata 2013: spettacolare la mineralità quasi sferzante e l’imponenza degli aromi che spaziano su tutto un corredo vegetale e di frutta matura. Già ben equilibrati, forse ancora leggermente aggressivi, specie il Sauvignon: danno l’appuntamento a Terroir Vino per un confronto con l’evoluzione di un mese in più sulle spalle.

Mi giro al banco segnatomi in agenda per amor di (mezza)patria e faccio la conoscenza del signor Travaglini, al secolo produttore di olio, in arte Parco dei Buoi. Provenienza: Larino, o più precisamente Le Piane di Larino, territorio disteso tra la costa di Termoli e l’entroterra molisano, già sulle colline. Un migliaio gli olivi che risiedono nella tenuta, i più giovani guardano alcuni centenari ancora vigorosi produttori di ottime olive. Gentile di Larino soprattutto, e poi le classiche cultivar del centro Italia: Moraiolo, Leccino, Frantoio. L’olio è particolarmente interessante, assaggiato sul quel pane casereccio di forma tonda, dalla fetta larga e crosta sottile e scura. Un impatto al palato piuttosto deciso, con una bella sfumatura piccante che volge poi in equilibrio bilanciato col gusto tipicamente amarognolo del frutto.

Un altro banco sorpresa. Non per le sue creature, conosciute in cordata e apprezzate per l’immediatezza e la semplicità. Bigagnoli, since 2012. Un ragazzo muscolosissimo che produce, invece, vini di una certa grazia. Siamo in piena area del Bardolino, proprio nella zona del Bardolino Classico, il che ci fa apprezzare in pieno l’umiltà di questo produttore che titola le sue etichette “since 2012”: come dire, sono l’ultimo arrivato e ho solo da imparare. Intanto, a me sembra che ne sappia un bel po’. Già bella la differenza tra il suo Rosato 2012 e il 2013 appena presentato, con tecnica di produzione differente. Interessante anche il Bardolino, sempre 2013: un vino di pronta beva, come si dice, un vino da avere lì a portata di mano quotidianamente per la tavola. Una menzione ineteressante sull’etichetta: Bardolino Classico DOC 2013 e Bardolino Classico Chiaretto 2013 hanno vinto il Concorso Internazionale Packaging alla scorsa edizione del Vinitaly! Infine, quantomai controtendenza l’uso del tappo a vite: secondo Bigagnoli, riconoscimento immediato di vini bell’e pronti da apprezzare subito al desco (e proiettati ai mercati esteri, dico io!).

E’ tutto un equilibrio sopra la follia, cantava Vasco pochi anni fa: Cascina I Carpini. L’equilibrio magistrale dei vini, prodotti in maniera assolutamente naturale, quasi selvatica, e la follia di un uomo che ha inventato da zero il proprio personaggio di viticoltore, partendo dai prati spogli su cui ha impiantato le sue viti: Barbera e Timorasso. La vetta bizzarra di questa Cascina credo sia Chiaror sul Masso, il Timorasso spumantizzato con metodo ancestrale o, forse più precisamente, metodo Carpini! Uve abbronzate dalla luna, piantate lì in un vigneto sassoso e nascosto, quasi l’angolo dimenticato dove si buttano gli attrezzi del lavoro a fine giornata. E che assaggio!, con i sentori tipici degli Champagne vintage e una freschezza poderosa. Una poesia che prosegue in ogni etichetta: Rugiada del Mattino, Brezza d’Estate. Timorasso che si fa via via più complesso, dai semplici prati, appunto, alle erbe officinali al balsamico e al minerale, fino a sfiorare i caratteri di un Riesling.

Più in là, infine, il cavaliere templare in crociata contro la standardizzazione del gusto e la burocrazia delle denominazioni: Rocche del Gatto, Fausto de Andreis. Approccio il banco affiancando un Mario Gelfi già visibilmente impegnato da tempo nella chilometrica verticale. Un’ascesa infinita per profondità di vendemmie, un percorso intenso da degustare al ritmo di tre sherpa intransigenti: Vermentino, Pigato e Spigau. Un produttore già conosciuto in Cascina Cuccagna, ma presso cui è impossibile fermarsi a bere un solo bicchiere. Le differenze pazzesche tra un’annata e l’altra sono una scoperta inesauribile e Fausto è un anfitrione tanto intrigante quanto laconico di verbo.
Sipario!