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#2 Sessione Privata: vini rossi

Private Red Session, Sommelier Social Club

“Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare… tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!… quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di maritarvi…”

Seconda tappa del percorso di selezione approntato per i nostri futuri sposi.

Private Red Session, Sommelier Social Club
Private Red Session, Sommelier Social Club

Dall’idea dell’aperitivo di benvenuto e del calice per il brindisi finale siamo passati ora alla tavola. Sommelier Social Club ha approntato una sequenza di sette diversi vini rossi: dal più immediato al più complesso, dal vino leggiadro a quello sostanzioso, dal luminosissimo primaverile all’oscuro autunnale. Abbiamo cercato di considerare tutte le possibili varianti, i gusti degli invitati e gli accompagnamenti culinari. Una cosa su tutte, però: senza discussioni, la qualità e l’artigianalità delle proposte.

CA’ FIUI 2019 – Corte Sant’Alda

DOC Valpolicella. Mezzane di Sotto, Verona. Corvina 40%, Corvinone 40%, Rondinella 15%, Molinara 5%. 12,5% alc.vol.

Fermentazione spontanea in tini di legno da 40hl. Macerazione sulle bucce tra i 15 e i 20 giorni. Affinamento in tini tronco-conici di rovere per 6/10 mesi.

PIEDIROSSO CAMPI FLEGREI 2016 – Contrada Salandra

DOP Campi Flegrei. Pozzuoli, Napoli. Piedirosso 100%. 13,0% alc. vol.

Fermentazione spontanea in acciaio. Affinamento in acciaio per 18 mesi.

AI CONFINI DEL BOSCO 2018 – Mulini di Segalari

DOC Bolgheri Rosso. Bolgheri, Castagneto Carducci, Livorno. Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc 44%, Merlot 34%, Petit Verdot 14%, Syrah 8%. 13,0% alc. vol.

Fermentazione spontanea in acciaio. Macerazione sulle bucce per 15 giorni. Affinamento in botti di rovere da 23 ettolitri per 12 mesi.

POSAÙ 2019 – Maccario-Dringenberg

DOC Rossese di Dolceacqua. San Biagio della Cima, Imperia. Rossese 100%. 14,0% alc. vol.

Fermentazione spontanea in acciaio. Affinamento in acciaio per 12 mesi.

AMORE E PSICHE 2019 – Il Vino e Le Rose

Vino Rosso. Momperone, Alessandria. Nebbiolo 100%. 14,5% alc. vol.

Fermentazione spontanea in acciaio. Macerazione sulle bucce fino a 35 giorni. Affinamento in acciaio, passaggio di pochi mesi in barrique esauste.

DONESCO 2017 – Pacina

IGT Toscana Rosso. Castelnuovo Berardenga, Siena. Sangiovese 95%, Canaiolo e Ciliegiolo 5%. 15,0% alc. vol.

Fermentazione spontanea e fermentazione malo-lattica in vasche di cemento. Macerazione sulle bucce per circa 14 giorni. Affinamento in acciaio per 12 mesi.

ARTÙ 2016 – Fattoria San Lorenzo

IGT Marche Rosso. Montecarotto, Ancona. Montepulciano 60%, Sangiovese 40%. 14,0% alc. vol.

Fermentazione spontanea in tini di legno. Macerazione per circa 25 giorni. Affinamento in legno per 18 mesi.

Vuoi divertirti anche tu con la tua personalissima degustazione privata? Non esitare a contattarci: info@sommeliersocialclub.com

Private Red Session, Sommelier Social Club
I protagonisti della serata
Private Red Session, Sommelier Social Club
Dietro le quinte si preparano le sorprese…
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Voillot amarcord

Domaine Joseph Voillot, Volnay

Quelle erano davvero quel che si dice delle mani grandi. Afferravano la bottiglia dal centro, senza guanti bianchi, senza nessuna leziosa leggiadria. Coprivano tutta l’etichetta. Il vino era versato in certi piccoli bicchieri, dei calici in effetti, con piede, stelo e tutto, ma talmente minuscoli da figurar bene al tè delle bambole. Nessun riguardo all’apparenza, nessun indulgere a raffinatezze stereotipate. Guardavo quell’uomo che ci aveva accolto oltre il cancello nei suoi pantaloni da lavoro e con quella felpa nera impolverata, gli scarponi sformati e infangati. Pensavo fosse un essere sorto dalla terra, con le sue grosse mani capaci di manovrare un trattore e legare teneri germogli, la sua stazza importante per apparire gioviale e incutere rispetto. Quello che faceva era lavorare la terra e produrre vino, al diavolo tutto il resto.

Capitavo alla dimora di Jean-Pierre Charlot un pomeriggio di novembre. Il nutrito gruppetto cui mi accompagnavo era partito da Milano proprio quel giorno e lì, il Domaine Voillot, sostava per la prima tappa di quella gita turistico-didattica. Il viaggio in Borgogna, il premio tanto ambìto al termine d’un percorso entusiasmante. Andavamo a vedere i luoghi, a incontrare le persone. A mangiare e bere, certo, a fare festa dentro un castello come bambini che entrano nelle loro favole preferite. Ricordo il tempo sospeso, le mattine terse e i pomeriggi che veniva buio presto, mentre ci affaccendavamo veloci avanti e indietro fra cantine e ristoranti. Il senso di tutto stava nell’idea della trasferta studio e, come i bravi studenti che eravamo stati una volta, ci impegnavamo meticolosi ad appuntare il detto e il degustato. E poi la sera, come al chiudersi dei cancelli del collegio, era invece fuga e baldoria e bicchieri più spessi. Quella estrema necessità di un quaderno sempre appresso, spauracchio diligente da riempire con serietà, sarebbe presto naufragata al cospetto della vita reale d’un vignaiolo di fama.

Il pullman bianco – così lo ricordo ora – ci portava chiassosi e ben speranti verso il paradiso. Come avrebbe faticato, al ritorno, così carico, stracarico, di casse e vetri, su quelle sue ruotine lente lente, i sedili bui e assonnati. Così ci portava, aprendo le prime porte all’aria frizzante di Volnay. Tutto era meraviglioso: il paesino di pietra silenzioso; il panorama pastello, di campagna e nuvole; il cielo e quegli alberi senza foglie nella piazza. E l’incontro, certo, come timorosi d’avventurarci senza una guida salda, con il maestro Armando, che direttamente da Lione arrivava a raggiungere impaziente la sua classe. Come ancora non sapevo che quella sua presenza lì fosse scintilla a tutto il meccanismo della giostra, come di lì a poco sarebbe stato investito cavaliere.

Il cancello stava giusto sull’altro lato della strada, nero e ferroso, sottile. Un campanellino elettrico, in fianco, con una targa sproporzionata sopra. “M. Voillot, proprietaire, vigneron”. Quella strana sensazione, sempre quando si visita una cantina storica e particolarmente lassù in Borgogna, di entrare per sbaglio in casa di qualcun altro. Come quando inizi a scoprire che il nome di un vino non rappresenta per forza il nome dell’uva con cui è fatto. Così, bussiamo da Voillot, ma ci accoglie Charlot, che è il genero di Joseph delle etichette, ma non lo stesso che ha fondato l’azienda, essendo vecchia di fine Ottocento. Le omonimie borgognone: un altro prezioso tassello dell’affascinante mosaico della storia regionale. L’elenco del telefono sempre appresso servirebbe magari ad evitare di spender denari per toma, anziché Roma. Ma qui, per lo meno, gli stessi nomi appartengono alla stessa famiglia. Una famiglia distesa sopra una decina d’ettari, tra Volnay e Pommard, Meursault e Beaune. La cantina sta a Volnay, praticamente in fianco alla più classica delle trattorie di fuori porta, un ristorantino che viaggia a spron battuto su bourguignonne e andouillette.

Una cosa che avrei riportato bene impressa nella testa – e che ancora racconto a mo’ di mistica scoperta – sarebbero certo state le pareti di quelle stanze sotterranee. Le scale strette, le volte basse, i disimpegni angusti in cui s’adagiavano matrone esauste di rovere, s’allungavano distese silfidi di vetro scuro. Il tutto ovattato, silenzioso sotto il telo ricamato della muffita umidità. La pietra dei muri suggeriva arrotondata delicatezza, anziché possanza geometrica. Le cataste di bottiglie assumevano aspetto di linee fluttuanti, anziché il rigore della precisione logistica. Tutto era soffice e antico. Le pareti erano rivestite di questa peluria medioevale, variegata nei suoi toni del bianco caldo, dei grigi, delle sfumature dal paglierino all’ocra. Chiazze che ora si allargavano, ora restringevano, ma senza soluzione di continuità arrotondavano spigoli, giravano nelle aperture e colonizzavano tutti gli spazi. Dove noi respiravamo, beati: e voglio credere adesso che parte di quella eternità sia frammista alle nostre cellule umane. I vini dormivano il sonno delle principesse fiabesche, evidentemente. Sotto i loro lenzuoli felpati stavano irriconoscibili e, al mio occhio nuovo del posto, perduti. Quale mappa provvidenziale doveva essere nascosta sotto il mattone traballante del pavimento, per dare modo di andare a pescare quel vigneto, quell’annata, quella bottiglia, così alla cieca? Non ricordo nessuna etichetta visibile, in quella luce smorta: né avrebbero potuto resistere agli anni e alle muffe, le scritte lì sotto. Mentre giravo lo sguardo in cerchio continuo e inarrestabile, estasiato, come si resta rapiti nell’osservare il fantastico, sentivo una voce (o erano più?) che guidava la visita. Ecco, quello che sta fuori non può stare dentro e quello che sta nel mezzo protegge ciò che è dentro da ciò che è fuori. Era lapalissiano. Le muffe – a chi affascinanti e a chi raccapriccianti – stavano a baluardo del vino. Così si spiegava. Un sottovuoto naturalissimo e prezioso svolgeva nella pratica l’attività che nei locali cosiddetti moderni e funzionali svolge il Napisan. Non avevo dubbi, non potevano essercene: quel luogo era quanto di più atavico, emblematico, archetipico si possa immaginare in fatto di “cantina” e allo stesso tempo materiale, tangibile, vero. Il paragone con bianche piastrelle lucide e igienizzate appariva oltraggioso.

Alfine uscimmo a incontrar le stelle: di rubino erano e liquide. Allineate a due a due, che i bevitori eran numerosi, stavano le bottiglie scure, slanciate parevano. Etichette di estrema semplicità, concedevano l’unico vezzo d’un corsivo, a indicazione geografica. La carta non era liscia: non potevo trattenermi dal passarci di sopra le dita, per sentirne la materia ruvida. I bicchierini, impugnatura grossolana che versa come fosse vino da tavola: il quale è, di fatto, se poi ci vogliamo arrovellare sugli abbinamenti. Ecco che in casa di Jean-Pierre, con la sua accoglienza umana, bonaria e sorridente, la discesa agli inferi prodigiosi, la sosta nella stanzetta angusta e spoglia, si disintegrava nella mia testa tutta l’impalcatura dei fragili e arroganti orpelli. Il vino va bevuto, questo conta. Ora non ha senso cercare di andare a recuperare nella memoria le differenze fra quegli assaggi: c’è di sicuro chi ne sa e ha fissato da qualche parte note degustative. Erano tutti buonissimi e un souvenir fra i tanti me lo sono concesso.

“Il nostro anfitrione, infine, visto che ebbe i calicetti tutti vuoti, si indaffarò per la stanzetta e s’industriò di cavarne, da un qualche àndito recòndito, un’anonima bottiglia, vetusta d’aspetto.”

Vecchia lo era davvero, quella bottiglia, se volevamo dar retta a quelle incrostazioni sul vetro, con tanto di residui di muffa mal ripuliti. Per tacer della polvere poi, quasi a bella posta spruzzata ad onorare i turisti. Che fosse davvero generosa emotività del momento o dulcis in fundo già studiato alla prenotazione nostra, comunque l’effetto scenico fu dei più applauditi. Era qualcosa dei primi anni settanta. Aperto e versato con somma disinvoltura. Radiografato, fiutato e degustato, noi; guardato, annusato e bevuto, lui. Tutte le domande che potevamo avere in mente trovavano modo di raggiungere Jean-Pierre, che non si schermiva, parlava, spiegava. Nessuna ostentazione mai, però, nessun piedistallo, nessun palcoscenico. Un essere sorto dalla terra per fare vino e per raccontarlo ai curiosi. E per berlo, più d’ogni cosa.

L’imbrunire svolazzava già sopra i tetti, la luminaria stupefacente imbiondiva già la facciata della chiesa. La gaieté fuira vos festins si de Volnay vous ne servez les vins!

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Chi si merita le tue bottiglie?

Volnay 1er Cru Les Caillerets 2012, Domaine Joseph Voillot

L’inizio del nuovo anno coincide inevitabile con la lista dei buoni propositi: ardimentosa operazione di risciacquo della coscienza, quando non onirica visione d’artificiali paradisi, in preda all’estasi dei brindisi finali. Voglio dare invece il la a questo 2021 con un atto di sincerità, una confessione che mi alleggerirà il cuore e al contempo andrà a smascherare quanti di voi quattro lettori la pensano come me: vedo già l’ondeggiare affermativo delle vostre teste sospiranti.

A chi concedete l’accesso alla vostra cantina?

Parlo qui in senso assolutamente ampio e non solo di vani immobiliari espressamente dedicati agli irraggiungibili spendaccioni: sentiatevi tutti coinvolti. Parlo, per quel che mi riguarda, di una semplice stanza che sta sotto il piano terra, colle pareti bianche e, a tratto a tratto, vagamente scrostate dall’umidità facilmente avvertibile, il pavimento non più in cemento ma rivestito di piastrelle scure, unica concessione al lusso; di un posto freddo d’inverno e più caldo d’estate, ancora illuminato da essenziali lampadine appese al loro filo – “rational nordic design” potrei sottolineare – nonostante ripetuti e vaghi e visionari progetti di finiture più precise, emozionali, definitive. Un posto, insomma, che si offre con l’utilità di mille possibili indirizzi, secondando dignitosamente il pallino dell’utente di sorta. Lo vedevo vestire quindi, in origine, i panni di un magazzino per ricambi di motociclette, per poi lentamente tramutarsi – non condividendo io il medesimo fervore motociclistico del suocero – in mezzo sgabuzzino e mezzo deposito di bottiglie e, via via, in definitiva cantina. La genesi furono quegli scaffali metallici, banali in ogni più comune garage, accoglienti quella decina di flaconi razzolati evidenziando coi cerchiolini le offerte sui depliant del super… E poi, a mano a mano che l’interesse aumenta, che la curiosità più si fa pressante e il desiderio diviene urgenza, ecco il raddoppiarsi, il triplicarsi delle mensole: ma né lo spazio, né l’occhio che vuole la sua parte sono già più soddisfatti e allora è l’avvento delle rastrelliere, belle di professionale aspetto, di legno e di metallo forgiate. Ancora, il gironzolare per lidi enoici porta vento creativo ed ecco comparire i bancali – Epal rigorosamente, che sono tutti uguali – all’uopo modificati e finanche, sospinte da afflati di certa ambizione, le ataviche pupitre, per gli spumanti capovolti. Alloggio in un’asola di un sostegno un termometro recuperato, colonnina di mercurio che dice cose varie in stagioni diverse e sempre mi fa agognare quelle stanze quasi vaticane, regolate d’umido e di clima, spaziose il giusto, logisticamente ineccepibili, stilisticamente perfette. Ma scender quei gradini è sempre entrare in uno spazio accogliente ed esigente: la cantina è una stanza mai finita, un campionato incomparabile allo sceglier colore di pareti o tende o piastrelle. Quei gradini li scendo solo; tutt’al più accompagnato, eventualmente raramente, da un qualche ficcanaso che deve ben sapere di dover vestire i compiacenti panni dell’ammiratore: o che se ne stia al piano terra se no! Per poi ammirare, attenzione, il cronico disordine e l’illuminazione provvisoria…

Nel mentre prende forma la mobilia, di pari passo si sviluppa un gusto, o forse è viceversa, chi lo sa: sta di fatto che il volantino ora è valido fondale al sacco del pattume. La cerca delle bottiglie segue nuove e più avvincenti tracce, si muove per incontri e per racconti: non più uno schematico backstage, ma un palcoscenico dal vivo, col riflettore acceso sull’artista che dà vita alla materia uva. Ed eccolo, il primo fondamentale punto, croce e delizia, ferro e piuma. Dal momento che l’amico e il parente riconoscono in voi gli appassionati, il vino diviene l’illuminazione a soccorso di ogni stressante momento di ricerca regali. Il dono: un semplice modo in cui le bottiglie scendono in cantina.

Gli amici e i parenti sono di partito vario: chi vi conosce bene e chi non vi conosce. A prescindere da quale sponda abitino, essi potranno comportarsi con voi in vario modo e con risultati tra il sorprendente e l’allucinante. Se alla porta si presenta chi è al par di me appassionato posso esser tentato d’aprire e fare entrare in maniera spontanea, ma non avrò comunque certezza che di vino buono si tratterà: devo sperare che la passione in questione sia condivisa e non contrastante su gusti e, sopra tutto, su produttori. Ma altrettanto facilmente potrebbe suonare il campanello uno spaventato: timoroso dell’entrare in casa di un saputo e quindi dell’insormontabile problema di come poter rimediare una bella figura con l’oggetto di tanta passione. La paura e l’insicurezza generano mostri e un vino acquistato unicamente per non lasciarci le mani vuote ad un invito sarà sicuramente fallace. Sul binario parallelo, però, mi accorgo corrono anche i conoscenti che scelgono altra via d’approccio, affatto contestabile e, anzi, vieppiù auspicabile e leggiadra. Son quelli che, consci di seguitar fedi diverse o di nulla sapere né importarsene del vino, non confezionano presenti enoici e bussano all’ingresso a mani libere. Evidentemente, non potranno che vincere.

Al di là della generosità altrui, il vero motivo per cui esiste una cantina in una casa è – va da sé – quello dell’essere alimentata dalla sete del proprietario, dalle ricerche a mo’ di segugio drogato, agli inciampi fortunati in sorprese preziose. L’acquisto è momento di sfaccettature variegate e inenarrabili: compulsivo o cadenzato, progettato o ad cazzum, curioso su propria linea personale o curioso sulla linea del sentito dire, Big Gatsby style o austerity-mode on, on line o in presenza, intimo o social addicted… L’acquisto prevede una conseguenza pressante, che trova risposte provvisorie secondando il sentire del momento, ma può presto divenire insopportabile: come organizzate la vostra cantina? L’ordine alfabetico? Per produttore o per vino? L’ordine regionale? I bianchi divisi dai rossi divisi dai rosati divisi dai frizzanti? Tutto insieme, ‘ndo cojo cojo? Bottiglie divise per denominazione? Una questione – mi rendo conto – incessante e sfibrante, che assomma tutte le possibilità di catalogazione: come organizzate la vostra libreria, la vostra raccolta di vinili, la vostra collezione di Mio Mini Pony?

Cantina, pupitre. Epernay, Champagne

Chi si merita le vostre bottiglie?

Infine, quando tutto sarà accolto, acquistato, sistemato, inventariato, l’epocale esame s’affaccerà alla nostra coscienza: quando aprirò queste bottiglie? Quando permetterò che l’occasione sia tale perché il vino agognato s’evapori dalla sua gelosa magione? E qui sta il secondo, fondamentale e inamovibile punto di tutta la faccenda sotterranea: l’avaro dottor Jekyll urla il suo formidabile rifiuto in faccia al signor Hyde, scialacquatore. Perché l’aver messo da parte mi fa sentir come formica tranquilla sulle sue riserve di viveri e quando il numero troppo s’abbassa suona inarrestabile il suono d’allarme, come il grido dell’elegante donna mondana che, dinanzi l’armadio aperto, strilli “Non ho niente da mettermi!”. C’è una vena, forse manco tanto sottile, di doloroso collezionismo intorno alle bottiglie che deposito in cantina, una cupidigia non per forza dedicata solo alle etichette più costose.

Il vino che arriva sulla spinta della semplice curiosità racchiude un senso prezioso di scoperta. A chi aprirò – e perché poi dovrei farlo – un vino che mi sono guadagnato in base ai miei gusti e alla mia ricerca? Un’idea che va spesso accompagnandosi al banalissimo “E se poi non piace?”: meglio quindi che me lo beva io in separata sede, quando sarà… Sul lato delle bottiglie regalate, invece, ecco che si chiamerà in causa un certo legame più o meno affettivo. Non sono costate niente, è vero, ma sono comunque messaggio della persona che donò e anche magari dell’evento a causa del quale arrivarono. Ecco, sorge l’idea che vadano consumate in una medesima occasione, quando possa trattarsi di compleanno, d’anniversario, di obiettivo generico raggiunto; oppure, aperte con la medesima persona, quando tornerà in visita. Il problema che alcune di queste bottiglie generano è il medesimo delle bottiglie che impolverano dietro l’angolo buio del sottoscala: le antiche cose di assoluta pochezza che s’erano ammucchiate – e fortunatamente poi dimenticate – all’epoca dei volantini del super. La ragione d’una non-apertura diviene allora qui una sorta di concessione di grazia al proprio e all’ospite palato: perché, dal momento che si viene riconosciuti quali appassionati, risulterà oltremodo sconveniente offrire vini industriali. Gli stessi che non ci si concede nemmeno in giorni semplici. E intanto stanno lì…

Il luogo è motivo di grande peso. A proposito di legami affettivi, se si ritorna con una bottiglia da un posto visitato è segno che il posto è stato apprezzato. Oppure, che in quel luogo non c’era niente di bello fuor che quel vino lì, dietro una vetrina: che avrà allora il merito di poter trasformare in prodigioso un posto da nulla. Il souvenir di un luogo visitato è feticcio potentissimo, tanto che ci spingeva, allora imberbi e ingenui, a portarci a casa statuine di dubbia fattura, scintillanti e mutevoli di colore; brutte assai, ma a tal punto totemiche da non azzardarci a gettarle, se non all’occasione di accidentale caduta e sbriciolamento. Figuriamoci, ora adulti e accorti, cosa può significare un vino, nettare prezioso agli dei! È sigillo d’un periplo compiutamente realizzato, d’una vacanza dagli indimenticabili toni, d’un luogo sulla terra in cui pezzetti di noi han piantato radici. Come puoi pensare d’aprire, per te e per gli altri, cotanto fato liquido?

Ma il momento è il motivo più forte di tutti. Il momento trascende il luogo, poiché l’acquisto può anche essere banale, per mezzo di brutale attrezzo elettronico. Il momento trascende la scoperta per curiosità, poiché l’acquisto è il traguardo d’una caccia o il decidersi dopo un racconto e un assaggio. Il momento è un’atmosfera in cui ci si trovava a parlare di vino, a bere vino e a volersi portare a casa quel segno – hic et nunc o per successiva ricerca – come un trofeo che dica “Tu c’eri! Io ne sono la prova!”. Ma il momento significa anche l’anno della vendemmia: ed è questo il monte più invalicabile, la quercia profondissimamente e più tenacemente radicata, del serpeggiante spirito collezionistico anti-stappatura. Appropriarsi di una bottiglia prodotta da vigne conosciute, da vignaioli ammirati e nell’anno di un evento che ci è pietra miliare di vita… E cosa potrebbe mai aver diritto a maggior spirito di difesa dal perverso desiderio di assaggio? L’anno giusto è il fuori-categoria, una selezione che merita il suo spazio a parte, la rastrelliera migliore della cantina: non valgono qui regole di ordine, di colore, di produzione. Non plus ultra!

Vero è anche – però e in definitiva – che il vino è coacervo di storie, sue proprie dei bevitori, che hanno un sol modo di rendersi palesi. In questo siam tutti d’accordo: il vino va bevuto!

Volnay 1er Cru Les Caillerets 2012, Domaine Joseph Voillot

E con i cerebrali ingranaggi che macinavano simili ragionamenti, nel dì di Capodanno scesi alla cantina per onorare il pranzo con questo vino e due amici. Souvenir d’un luogo, d’una scoperta e d’un momento: e perciò inarrivabile.

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Pinot Noir, sua maestà della vigna

20191212_PinotNoir

DOVE / COME / QUANDO

SOMMELIER SOCIAL CLUB
NERVIANO
Piazza Crivelli 1
Venerdi 24 Gennaio
ore 21.00
Ingresso € 35,00


Il vino re dell’eleganza.

Carattere indomabile e fascino inarrivabile.

Il non plus ultra delle uve territoriali.

L’incredibile epopea dei Cistercensi e di un magistrale savoir-faire.

La materia con cui sono scritte le leggende…


6 vini in degustazione

LA DEGUSTAZIONE

DEGUSTAZIONE ALLA CIECA



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    Facciamo… Natale!

    20191220_Natale

    DOVE / COME / QUANDO

    SOMMELIER SOCIAL CLUB
    NERVIANO
    Piazza Crivelli 1
    Venerdi 20 Dicembre
    ore 21.00
    Ingresso € 30,00


    La tradizionale serata degli auguri al Sommelier Social Club!

    Gran girandola di vini e bollicine: tutte le cose che ci piacciono di più, gli assaggi che ci hanno più colpito durante l’anno, qualcosa di nuovo da provare in compagnia… E immancabile, il signor Panettone!

    Vieni a festeggiare con noi!


    6 vini in degustazione

    LA DEGUSTAZIONE

    COMING SOON



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      Giro del Mediterraneo

      20191122_Mediterraneo

      DOVE / COME / QUANDO

      SOMMELIER SOCIAL CLUB
      NERVIANO
      Piazza Crivelli 1
      Venerdi 22 Novembre
      ore 21.00
      Ingresso € 35,00


      A spasso per il mar Mediterraneo, luogo simbolo della coltivazione della vite e della produzione di vino.

      Una rotta che tocca i paesi che da sempre rappresentano una tappa fondamentale nel lungo viaggio del vino.

      Italia, Francia, Spagna, Grecia, Israele

      LA DEGUSTAZIONE

      COMING SOON



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