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Umbria: un cuore che batte fortissimo

Enogiro d'Italia, XVIII tappa: Umbria

Si traguarda la diciottesima tappa del nostro Enogiro d’Italia. Il nostro carrozzone – sempre agile a scavallar monti e colline – si sofferma una sera in Umbria, cuore verde d’Italia. In Umbria non c’è il mare… Eppure certi afflati salmastri lascerebbero intendere il contrario. Prova che la terra è sì incredibilmente varia da saper imitare anche le acque salate. Una regione racchiusa, compatta e movimentata: e tutta questa sua struttura abbiamo ritrovato nei vini degustati, caratteristici di visioni produttive poco inclini a compromessi. L’Umbria è un cuore ed è verde: natura credo sia la parola d’ordine di questo piccolo assortimento presentato.

Vinificazioni assolutamente personali e vini decisamente sorprendenti.

Perché il colore più chiaro non fa rima con struttura più delicata.

Perché i vini bianchi sono più tannici dei rossi.

Perché il temuto tannino del Sagrantino risulta essere flauto e non grancassa.

Perché c’è chi si diverte a fare vino e non per questo produce cose comiche.

Perché aveva ragione Jacopone da Todi e noi trasportiamo la sua affermazione dal campo di poesia al campo della vite: “Quando è chiara la lettera, non apporre oscura glossa”. Il vino si fa in vigna.


RASPATO 2018 [Cantina Annesanti, Arrone, TR]

Sangiovese, Aleatico. 10,5% alc. vol. IGT Umbria Rosato.

Vino sbidigudo, vinificato secondo una antica tarapia della Valnerina.

Sapore prematurato e profumo di piccoli posterdati rossi supercazzolati.

PS Le anima non pesano, come questo vino. Bevetelo leggeri.

Sangiovese e Aleatico

Ecco come presenta il suo frizzantino rosé Francesco Annesanti, nella retroetichetta delle bottiglie: fantasiose di creativa etichetta, stupefacenti di tappo meccanico, che mai s’era ancora visto al SoSoClub!

E così va bevuto: in allegria, in compagnia, facendoci caso ma senza filosofie, gustandolo con intenzione ma senza spaccare il capello in quattro. Il vino della merenda e della sete, nel suo meraviglioso colore velato, tra l’albicocca e il Bellini, la luce mediterranea della limonata e la sfumatura ramata della cipolla…

Il naso è pulito, fresco, citrino. Dà poi una idea di sottobosco, di bella ombra fresca in estate. Man mano che il vino si scalda ecco che i profumi si ammorbidiscono e passano dall’agrumato intenso alla spezia leggera, all’anice per esempio.

In bocca è quello che ti aspetti: acidità sparata, scorza di limone. E una frizzantezza davvero decisa, scalpitante, anche se formata da bollicine fini fini. Si avverte bene una frizione quasi astringente, una sensazione talcata e una linea ben sapida che attraversa tutto il sorso. A garganella con qualità!

 

ESIMIO 2017 [Casale Rialto, Montefalco loc. Casale, PG]

Grechettoin purezza. 14,5% alc. vol. IGT Umbria Grechetto.

Eraldo Dentici ha quel fisico lì da centro-mediano alla Riccardo Ferri, che dice subito di non saper stare fermo. Un viso serio e netto, un occhio che ha visto cose e legge indizi. Un aspetto deciso.

In altro modo non potrei definire questo suo esempio di Grechetto: deciso. Mica per tutti. Anche se il colore è una tentazione liquida: oro puro, limpido, luminoso, denso. Bellissimo.

Parte al naso con un tocco di smalto e già pensavo “ci siamo!”. Insieme arriva subito l’idea suadente e autunnale di una nocciola calda e ancora la sensazione dell’ingresso in profumeria d’antan. I profumi si dispiegano sulle note macerative, sulle bucce intense che cedono piano piano. Il floreale e il fruttato maturo arrivano baldanzosi, e ancora dietro le note di frutta secca. Poi, l’assolo morbido della nota legnosa, un profumo proprio di corteccia spessa e asciutta. Se ne esce riconoscibilissima l’albicocca essiccata, che via via prenderà grande spazio olfattivo.

E poi lo beviamo… Potentissimo! Astringente, nonostante quella presentazione trasparente. Tannico e alcolico, ma un calore di velluto prezioso, una sensazione glicerica intensa e morbidissima. Salino, in maniera molto fine e con la sua bella sensazione amaricante. Le gengive pulsano, le labbra paiono appena uscite da un bagno di mare. Potentissimo, davvero. Richiami retronasali di essiccato, di erbe e di campi, per annunciare un finale quasi da distillato, da Cognac o giù di lì… E ancora il sale, debordante.

Incredibile.

 

TREBBIANO SPOLETINO 2018 [Raìna, Montefalco, PG]

Trebbiano Spoletinoin purezza. 13,0% alc. vol. DOC Spoleto Trebbiano.

L’aspetto è tutto di un vino in naturalezza, con quel giallo dorato velato: trame di lieviti, di bucce, di particelle sconosciute… Il profumo mi colpisce con una nota quasi da idrocarburo, così appena versato, senza nulla roteare. Poi, quelle sensazioni già apprezzate volte prima: la paglia, le erbe essiccate e, su tutto, una generosa spolverata d’origano. Si leva eterea una certa nota fumé e il ricordo della pietra. Caldo rimando di goudron. L’acciottolato e il campo assolato sono l’immagine che si figura sopra questo calice, con note emergenti di frutta secca.

Francesco Mariani descriveva questo suo Spoletino come “l’Italia dell’Appennino”: è così, difatti, equilibrato e inafferrabile. Diresti introverso, perché non riesci a cogliere sentori precisi e dettagliati; ma non è scomposto, dà un’idea di buono e di ben fatto. Bisogna arrendersi: è il centro Italia, la gente che s’incontra per strada, che parla dialetto nelle piazze; è un vino schietto, vero. E non vuole essere ridotto a elucubrazione per pochi eletti.

In bocca, infine, pizzica come il sale e come le spezie. Si gusta come le erbe aromatiche sopra la pietanza e poi asciuga con certa astringenza. Solare, campestre.

 

BIANCO MACERATO 2017 [Ajola, Sugano, TR]

Procanico in purezza. 13,0% alc. vol. Vino Bianco.

Macerato lo è davvero, se l’occhio arriva a veder arancione dentro il calice. Orange e velato, come si confà ai macerativi e naturali. Jacopo Battista non è animale da palcoscenico: interamente integrato nella naturale dimensione dei suoi due ettari di vigna, sopra terreni vulcanici a 500 metri sul livello del mare. Bisogna andare a scovarlo, a quanto pare, non è homo-social. Questo suo vino è così: senza spiegazioni.

Il naso mi rimanda subito al bricolage, con una nota franchissima di vinavil. Giro, giro, giro e il palcoscenico plastico si apre sulla mia amatissima dimensione salmastra, con le conchiglie che filtrano dagli scogli e la salamoia che ammicca sapida. Più aria ancora porta ventate di liquore all’arancia, scorze d’agrumi e spirito, profumi d’amaretto.

Il sorso è astringente, un grip motociclistico, una sensazione di tranquilla ruvidezza. Agrumi che ritornano e tocco un po’ d’asfalto, di catrame. Bello fresco e con una vena sapida lunga lunga. Un goccio ne rimane, lì nel bicchiere, ad attendermi la prossima settimana…

 

LAUTIZIO 2018 [Collecapretta,Terzo La Pieve, PG]

Ciliegioloin purezza. 12,5% alc. vol. Vino Rosso.

Agricoltore e poi vignaiolo in Terzo La Pieve”.

Così afferma Vittorio Mattioli sull’etichetta di questo suo Ciliegiolo. Il vino viene dalla terra e la vite è una pianta che va coltivata: insieme agli altri frutti delle sue terre, agli ulivi, e insieme all’allevamento degli animali. Una economia circolare, di sussistenza e di mercato: indubbiamente, la concezione di tradizione all’ennesima. Ricordo la fiera milanese in cui ho incontrato i vini di Collecapretta: non c’era molto da star lì a disquisire, tanto si mostravano tutti magnifici. E qui, il loro Ciliegiolo, che tutto può essere fuorché il classico comprimario che conosciamo.

Intanto, il naso ha un attacco davvero selvatico, un proporsi animalesco e, come direbbero i saputi, “foxy”. Ma l’idea di un che di salato cova lì sotto. Con qualche boccata d’aria si addomestica un po’ e ci racconta le sue visioni di speziature, di chiodo di garofano. Un accenno di vegetale verde, di foglie d’edera. Langue dietro le quinte un qualcosa di gessoso, di polveroso minerale.

Com’è bello limpido, invece, il sorso! Succoso e fresco, spontaneo. Un filo tannico, un filo acetico. Una nota salina sottilissima e gustosa. Si ritorna a pensare ai vini da pic-nic: consideriamo il pranzo sull’aia, la domenica di sole, con i panni buoni e il servizio della festa. Buonissimo e sincero.

 

CAMPO DI RAINA 2014 [Raìna, Montefalco, PG]

Sagrantino in purezza. 15,5% alc. vol. IGT Umbria Rosso.

Vendemmia tardi, Francesco Mariani. O forse, meglio, vendemmia ancora con un senso della stagione, come chi lavora la terra è abituato a fare. Fine ottobre, per queste uve di Sagrantino che poi fermentano in acciaio, per quindici giorni più o meno. Passano – già ormai vino – alla botte grande, per un bel soggiorno di circa due anni. Poi ancora l’acciaio per un anno e, infine, un ultimo uguale periodo nel vetro della bottiglia. Tutto secondo le regole, ma di fatto qualcuno non deve aver compreso la situazione e il Sagrantino in questione esce con la semplice targa IGT: che diventa, molto spesso, la denominazione delle cose buone, fatte bene e meritevoli.

Subito un rimando all’infanzia, appoggiando il naso sopra il calice: i colori a tempera, quelli della valigetta con le chiusure a scatto, nei tubetti metallici. Nota ficcante d’inchiostro. Vino di terra, nei suoi rimandi alle foglie umide, sfatte, sopra i sentieri sterrati boschivi. Con qualche sasso qua e là: sensazione che rimanda alla pietra, a una qualche idea di minerale. Più in là parlerà anche di frutti scuri, di polpa e di maturità.

E così è in bocca: ricco, polposo, avvolgente. Una carezza calda e tannica, una sensazione sapida e talcata. I richiami alla terra, all’ombra del bosco, ci sono tutti. Il rovo e la corteccia, l’umido della rugiada e il vegetale che tende un po’ al macerato, ormai molle nei raggi non più caldi di un pieno autunno.

Maestoso.

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Francia, questa sconosciuta

Francia: vini francesi, denominazioni sconosciute

Chi dice Francia dice Champagne. Bordeaux. Borgogna.

Abbiamo provato a imbarcarci alla scoperta di alcune zone nascoste all’occhio enologico superficiale, regioni e denominazioni che spesso sfuggono alla conoscenza degli stessi francesi. Sono luoghi che abbiamo sentito nominare, certamente; magari addirittura ci abbiamo trascorso una vacanza o almeno un fine settimana. Non ci avevano detto, però, che ci si facesse anche del vino! E che vino!

Possiamo definire Tesori di Francia un goloso amuse-bouche, come dicono elegantemente i transalpini, un aperitivo intrigante che aprirà sul servizio vero e proprio. Una serie di incontri di cui speriamo parlarvi quanto prima.


PRIMITIF 2018 [Domaine Giachino, Chapareillan, Savoia]

Jacquere in purezza. 10,5% alc. vol. AOP Savoie.

La famiglia Giachino conduce da generazioni i suoi 9 ettari di vigneto alle falde del monte Granier, da diversi anni con certificazioni biologica e biodinamica. I suoli su cui dimorano le viti sono il residuo di antiche morene glaciali. Il risultato di un rimescolamento abbastanza recente, in realtà: correva l’anno 1248, allorché qualcosa come 500 milioni di metri cubi di roccia e terra crollano verso valle, trascinandosi dietro cinque intere parrocchie. Quello che ne rimane è oggi un complesso caotico molto ricco, a natura prevalentemente argillo-calcarea.

Il vino ha un aspetto molto intrigante, limpido e vivo, un oro molto tenue con riflessi vintage, tendenzialmente ramati. Il naso è delicatissimo e floreale, leggiadro come l’aria di montagna in una bella giornata di sole sul prato. L’assaggio introduce l’opposto: l’espressione è salina, la freschezza è ripulente. Un po’ più che un accenno di sensazione glicerica fa il paio con certa polposità a centro bocca. Goloso e raffinato.

 

LUNE VIEILLE DE MARS [J.L. Denois, Roquetaillade, Languedoc]

Mauzac in purezza. 11,5% alc. vol. AOP Limoux Ancestrale.

Jean Louis Denois è sicuramente un professionista del vino: nel senso che ne sa tantissimo e lo ama ancora di più. Ha girato il mondo, vecchio, nuovo e nuovissimo per non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per imparare qualcosa: tecniche di coltivazione, assemblaggi, affinamenti, tirage… E su tutto, la convinzione che un passaggio dalle pratiche convenzionali al rispetto assoluto della natura fosse assolutamente necessario. 36 ettari nel sud della Francia, condotti in certificazione biologica, con pratiche biodinamiche: nessuna chimica di sintesi in vigna e la coerenza delle operazioni in cantina.

La luna calante di Marzo è il momento dell’imbottigliamento di questa assolutamente autentica Blanquette de Limoux, assoluto archetipo del metodo ancestrale: da quel momento riparte la rifermentazione che s’era arrestata coi rigori invernali e ci regalerà una effervescenza fine ma decisa. Siamo agli albori della storia dei vini frizzanti, alle fondamenta della leggenda dello Champagne.

Un calice che mi incuriosisce molto, nella sua veste pallida e mossa. I profumi sono rotondi, l’espressione è solare, la sensazione è quasi dolce, da mela gialla matura. Garbati sono i toni citrini, accompagnati da una lieve pasticceria di vaniglia. In bocca la frizzantezza è piuttosto viva e richiama sentori dolci e fruttati: ma non ci si inganni, perché l’impianto è costruito sull’ottima acidità, corroborata da una finissima sapidità. Quasi una carezza di talco sulle guance, il saluto finale e graziosissimo.

 

BLANC 2018 [Cantina di Torra, Oletta, Corsica]

Vermentinu in purezza. 12,4% alc. vol. AOP Patrimonio.

L’azienda di un giovane appassionato, Nicolas Mariotti Bindi, che vinifica la sua prima vendemmia nel 2007. Studi di legge a Parigi e poi la svolta vitivinicola che lo porta a girovagare per la Francia e la Corsica, dietro quella passione per il mondo del vino che deve fare i conti con la conoscenza di base: Beaujolais e poi Patrimonio, presso i pezzi da novanta del vino locale, come Arena, Giudicelli e Leccia.

La sua personale avventura parte attraverso la generosità di Henry Orenga de Gaffory, che gli presta 5 ettari di terra… Diventeranno gli attuali 15 col tempo, coltivati in regime biologico: Mursaglia, Porcellese, Lumiu, Coteaux de Patrimonio sono le parcelle da cui ricava i suoi vini territoriali, sopra le rocce calcaree dell’isola.

Un naso che esprime il carattere isolano: caldo, immagine di sabbia e profumi di fieno intenso. Un accenno di sensazioni tostate, vagamente fumé. L’assaggio è sapido, nettamente, e fresco, con un bel richiamo alla mente di campi al sole. Una certa morbidezza iniziale viene poi trasformata nel più classico degli amaricanti da sali minerali. L’idea di potenza, ma sottile e non scorbutica.

 

LES PEPETTES 2017 [Champ des Sœurs, Fitou, Languedoc]

Grenache, Syrah, Roussanne. 13,5% alc. vol. IGP Aude.

Marie e Laurent Maynadier rappresentano oggi la tredicesima generazione di vignaioli all’interno di un’azienda che affonda le radici nel XVII secolo. L’area è quella di Fitou, la più vecchia denominazione del Languedoc, affacciata sul mare e sugli stagni che punteggiano il territorio. Clima secco, brezze marine, rugiada sulle foglie: tutto è in equilibrio sopra il duro calcare del suolo. 15 ettari coltivati in regime di lotta integrata.

Eccolo, il vino della gita fuoriporta, la bottiglia che si dovrebbe sempre avere nel cestino da pic-nic… I profumi sono tutti quelli della battigia, col salmastro imperante e l’alga bagnata. Un naso esplosivo che rimanda direttamente al piretro e poi le note tostate e quelle fumé. Vaga idea vegetale sullo sfondo, come di cespugli che limitano la spiaggia verso l’entroterra. L’assaggio è una conferma che la bottiglia comunque non basta, che è un vino da bersi con l’unità di misura del secchio. Fresco e sapido, un tannino lievissimo, una sensazione di beva sottile e limpida, di puro succo.

 

PORC TOUT GAI 2016 [P-U-R, Villefranche s/Saone, Beaujolais]

Gamay in purezza. 12,5% alc. vol. AOP Beaujolais.

Una coppia che potrebbe uscire dalla commedia francese anni quaranta, quella formata da Cyril Alonso e Florian Looze: un cinema in cui si parla rurale, si vede e si vive la campagna, si prende la vita con leggerezza e si cerca di campare facendo quello che piace. Il vino è la missione unica di questi produttori: anzi, il vino n-a-t-u-r-a-l-e, senza artifici, senza aggiunte, sì che sia un vino vivo. La parola d’ordine della cantina è “trasparenza totale”. 12 ettari stesi in quella regione che non può fregiarsi del nome Borgogna, non è più Valle del Rodano e non c’entra nulla con Jura o Savoia… Una terra ribelle per vocazione, che resta l’ultimo baluardo del “fetente Gamay” contro l’orgoglioso Pinot Noir e il sogno monocolturale di Filippo l’Ardito. La provocazione è tangibile quando i due vignaioli ci ricordano che “la definizione legale europea di vino indica un prodotto ottenuto esclusivamente con la fermentazione alcolica, totale o parziale, di uve fresche, pressate o no, o di mosto di uve”: ogni aggiunta va a modificare questi termini.

Quanto di più lontano dall’immagine del “vin nouveau”, il novello dei francesi: Beaujolais è anche questo, un naso che dà smaccamente sullo smalto, la nota acetica è importante e richiede la pazienza dell’ossigeno. Ecco che poi i profumi arrivano e si tramutano in frutti scuri, in idea di radice e liquirizia, con un finale curioso e intrigante sulla sensazione di cenere. L’assaggio ci regala un bel sapore vinoso, super fresco e dalla bella nota salina. Le sensazioni ci fanno immaginare ancora i frutti scuri, maturi fino al disfacimento e poi note vegetali scure. Anche qui, un bel vino da portarsi in compagnia, da aprire-versare-bere e goderselo senza fisime infinite: se il pic-nic precedente era in Deux Cheveaux, qui recuperiamo dal garage il pullmino della Volkswagen e partiamo già cantando a squarciagola.

 

LA GOUYATE TENDRE 2018 [Chateau Barouillet, Pomport, Aquitaine]

Chenin Blanc, Muscadelle, Semillon. 12,0% alc. vol. Vin de France.

Scavando in archivio, Vincent Alexis riesce a risalire fino a otto generazioni precedenti e poi le nebbie avvolgono la storia del suo Chateau. Tanta terra, questi 45 ettari coltivati in regime biologico e suddivisi in 5 appezzamenti contigui ad una delle regioni viticole più famose al mondo: ma qui il rosso è Bergerac e non Bordeaux, il bianco dolce è Montbazillac e non Sauternes. Ogni parcella produce il suo vino e la cura dell’ambiente prevede l’affidarsi al calendario lunare e l’utilizzo di tisane e decotti per la cura e la prevenzione dei malanni delle viti.

Bello questo calice d’oro fuso, tenue e splendente. I profumi ci disorientano: c’è chi dice pasticceria, chi nomina il vegetale. All’improvviso la rivelazione: ortaggio, finocchio tagliato. Sì, è esattamente questo il primo impatto al naso: la freschezza della verdura cruda, con l’accenno di quella spezia caratteristica che è l’anice. Poi una sfumata sull’erba appena falciata, quindi l’ingresso del dolce, con una soave canditura da panettone, da panforte, da cassata, a celare appena una idea che rimanda l’immagine del cristallo di sale. L’assaggio è bizzarro parimenti, impossibile dirsi se caratterizzato da un aspetto in particolare… La dolcezza e la rotondità sono proprio un accenno, il gusto delle scorze d’agrume è vivo, la sapidità innegabile e finissima, la freschezza infinita. Spettacolare semplicità che permetterebbe d’accompagnare carni, formaggi e biscotti.

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Abruzzo, vino, natura

Vini d'Abruzzo, articolo

C’era di fronte un olmo avvolto da un rigoglio d’uva luccicante.

Elogiato l’olmo insieme alla vite che l’accompagnava, disse:

“Però se questo tronco se ne stesse lì celibe, senza tralci,

non avrebbe nulla di attraente se non le proprie fronde.

E anche la vite, che si abbandona abbracciata all’olmo,

se non gli fosse unita, per terra giacerebbe afflosciata.

Così Ovidio, nelle sue Metamorfosi. Nativo di Sulmona, attesta in questo passo il tradizionale metodo di coltivazione “a vite maritata”. Antico, antichissimo: ancora risalente agli Etruschi e al giorno d’oggi conservato quasi unicamente come documento storico, come museo vivente delle antiche pratiche agricole, in sparute aree del teramano.

Una regione dominata dalla grande montagna, l’Abruzzo: il Gran Sasso e la Majella scolpiscono tutto il territorio centrale e aprono valli dirette alla scarsissima piana verso il mare, dove andavano a sfumare le transumanze antiche. È l’idea di una natura ancora alquanto selvaggia e intatta, simboleggiata dallo spirito indomito, rassicurante ma feroce, dell’orso.


COCOCCIOLA 2017 [Cantina San Giacomo, Rocca S. Giovanni, CH]

Una realtà produttiva molto vasta, estesa su circa 300 ettari. Una cantina sociale che conta circa 200 soci. Siamo decisamente oltre i più grandi numeri che solitamente circolano per il Sommelier Social Club: ma a buon diritto abbiamo chiamato in causa Cantina San Giacomo, capace di vini ben fatti, interessanti e per nulla scontati. Per esempio, sono interpreti di un vitigno come la cococciola, sconosciuto ai più, anche in patria immagino.

Squillante nel calice, questa cococciola ha un bel naso dritto, verticale, improntato al vegetale e alle erbe aromatiche. Un accenno di salino poi, qualcosa che mi fa pensare a rocce di quarzo. Erbaceo, pulito e intenso, con un certo vagheggiare anche floreale. In bocca ha un attacco davvero salato, rinfrescato da una acidità ben sostenuta. Ci sono i richiami alle erbe aromatiche ed emerge infine una certa nota glicerica, a donare un che di morbidezza che non guasta. Senza fronzoli.

VINO BIANCO CANCELLI 2017 [Rabasco, Pianella, PE]

Iole Rabasco conduce secondo i princìpi della biodinamica i suoi circa 9 ettari di vigneti, divisi in quattro parcelle. Da cui, ogni anno, estrae le espressioni tipiche della sua terra: il bianco Trebbiano, il rosso e il cerasuolo Montepulciano. Vinificazioni estremamente naturali e affinamenti diversi, a seconda dell’etichetta di riferimento. 

Bianco da uve trebbiano, vigneto Cancelli. Giallo e velato. Il naso è dominato dalle note macerative: par proprio di sentire la frizione che le bucce fanno tra di loro nel contendersi lo spazio liquido del mosto. Tini aperti, lieviti indigeni, nessun controllo delle temperature: ci vuole la pazienza di dare ossigeno e aspettare l’emergere di nuovi sentori caldi, come la sabbia, come la paglia. Profumi non complessi, ma buoni e confortevoli, piacevoli, semplici ma affatto banali. Poi c’è la cesura dell’assaggio, quasi potente invece: sapidità a manetta e una sensazione quasi densa, una polpa che avvolge la bocca. Lunga persistenza per un vino che l’etichetta descrive “da pasto”… Avercene, pause pranzo di questo livello!

SENZANIENTE PECORINO 2017 [Marina Palusci, Pianella, PE]

Massimiliano d’Addario, già famoso per la produzione di un olio extravergine d’oliva sopraffino, è l’artefice dei vini dell’azienda di famiglia. Diverse linee di produzione proposte, tra cui le etichette Senzaniente: zero chimica in ogni passaggio, puro succo d’uva fermentato.

Eccolo, il pecorino nature, uno dei simboli dell’ampelografia abruzzese. Non serve nemmeno versarlo nel calice per farsene un’idea, perché la trasparenza della bottiglia bottiglia è studiata per far tutto risaltare, appositamente: un oro puro, lucente, ricco e meraviglioso. Il naso stesso è un’idea di calore avvolgente, ricco di profumi di erbe essiccate e con una punta leggera di salamoia. Rimandi alla polpa di frutti gialli. L’assaggio è sapido, quasi tannico. Richiami retronasali di frutti e di erbe, rosmarino e profumeria. Una complessità leggiadra, di certa persistenza e finezza.

LUCIGNOLO 2017 [Podere San Biagio, Controguerra, TE]

Incontrato in fiera, in quel di Piacenza, Jacopo Fiore si è presentato subito in linea con una certa nostra visione del vino: immediato, entusiasta, curioso e creativo.

Un uvaggio tra classico e raro, in questo calice: trebbiano e malvasia, coltivati in unico vigneto che vanta su per giù 60 vendemmie… Raccolti e vinificati insieme, con una macerazione in anfora di circa 90 giorni. Un vino che subito dichiara d’aver bisogno di respirare: aria fresca per queste note immediate di riduzione. L’ossigeno – che ricordiamo essere l’amico insostituibile dei vini vivi e vegeti –  apre il vaso dei profumi e delle sensazioni: gli effluvi di salmastro spiccano decisi, gusci e conchiglie, cozze e alghe. Ho un immediato ricordo dei colori a tempera con cui pasticciavo da bambino, con quell’effimero vagheggiar di petrolio. Il mare investe il sorso con potenza iodata, poi la stesa d’ulivi e il tannino presente. Ancora, aromi che parlano d’infusi, tisane, erbe, camomilla. E poi sale, sale, sale…  

LUSIGNOLO 2014 [Feudo d’Ugni, S. Valentino in Abruzzo Citeriore, PE]

Non ci sono parole per raccontare l’amore per questo lavoro da parte di Cristiana Galasso, una vignaiola che vive letteralmente in mezzo alla natura. Coltiva la terra per grazia di Dio e ammira il cielo di tra le fronde dei suoi ulivi. Ai piedi della montagna, con cui condivide il carattere roccioso e affascinante. Una donna con il coraggio del lupo, ma l’indole indipendente dell’orso.

“Dal basso latino Lusciniolus, diminutivo di Luscinia, voce composta di lux, luce e cinia, usato nei composti per càno, io canto; quasi dica che canta nel crepuscolo”.

Montepulciano. In tutto il suo rosato splendore. Il profumo immediato è uno sciroppo di lampone, sottile, dolce e acidulo. Piuttosto ritroso e introverso, occhieggia con l’idea di un salino potente, lì sotto. Una certa nota fumé si palesa curiosa. Assaggio senza indugio: caldissimo, con una morbidezza finissima e una sapidità penetrante. Intensa la freschezza che lavora dietro le quinte.

Quale distanza dall’assaggio d’un paio d’anni fa, con quelle note acetiche baldanzose e penetranti: due vini ben diversi, sempre caratterizzati.

ANIMAERRANTE 2017 [Di Cato, Vittorito, AQ]

Mollare un lavoro sicuro per affidarsi alle imprevedibilità della terra: è la scommessa che ha voluto giocare Mariapaola Di Cato, irrefrenabile pendolare fra Pavia e il suo Abruzzo.

Deve esserci in lui stesso qualcosa di errante, che trovi la sua gioia nel mutamento e nella transitorietà: le parole di Nietzsche, per raccontare che questo montepulciano è destinato a evolvere e poi finire. Perché è buono! Comme il faut, direbbero i francesi: è buono così, così come deve essere, con la giusta dose di rusticità, complesso il giusto, completamente equilibrato e compulsivo. I suoi profumi sono vinosi, giovani e vitali; ma anche di espressione seria, come la frutta scura e d’indole saggia, come gli afflati boschivi, umidi di terra e secchi di corteccia. Le note ferrose sono l’apice del contrasto che risulta tra il confortevole calore iniziale e il pungente freddo emergente. Ah, ma l’assaggio parla proprio del vino sincero dell’oste! Goloso e con un’acidità presente. Tannico quanto basta. Note intriganti d’amaro di radici. Succoso. E poi è finito. Vero.

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Ciao Mare 3: bevute notevoli

20190913_Ciao MAre 3

Terza edizione di un evento nato assolutamente per caso e organizzato sul filo di lana. Una serata leggera, volutamente rilassata per recuperare un attimo dell’atmosfera delle vacanze appena trascorse. Chiacchiere, aneddoti sulle bevute e le scoperte vacanziere, assaggi di calici che possono rimandarci alle sabbie e all’onde. E devo considerare che gli assaggi di quest’anno mi sono piaciuti davvero tanto!

GWENNIC [Cidre François Sehedic, Bretagna, Forêt-Fouesnant]

Eccolo qui, il jolly, la sorpresa, il fuori tema. Prima o poi doveva succedere: un sidro al Sommelier Social Club! Una novità interessante e golosa. E assolutamente centrata: tutto in Bretagna parla di onde e di sale, di acqua e di vento.

Un bel colore giallo chiaro, appena appena velato. Il naso è un rimando netto ad una mela acidula spaccata in due e in sottofondo aleggia la sensazione di cantina, le note un po’ umide un po’ muffe tipiche dei Lambic, per esempio. Il sorso è abbastanza netto, centrato sull’acidità, ma con una verve leggermente morbida in buon equilibrio. Ottenuto da una singola varietà di mela – un sidro in purezza, diremmo – l’acidula Guillevic, è asciutto e profumato. La bottiglia sarà sempre troppo piccola.

DAEDALUS 2018 [Mariotti I Vini delle Sabbie, Consandolo, FE]

Per quanto lo possiamo conoscere ormai da tempo, Mirco Mariotti. ha sempre un asso nella manica da calare per sorprenderci. Ed ecco qui una delle sue ultime invenzioni: un possente chardonnay, spiazzante e impegnativo.

L’olfatto è subito rapito dai profumi dei campi, dalla paglia secca, dal fieno aromatico, da erbe officinali e foglie di salvia. Un tocco plastico e le note estive dell’ardesia dopo il temporale. La sensazione che dà alla bocca è asciugante, sapidissima all’ennesima. E insieme polposa, con una vena di fruttata allegria. Buonissimo e complesso.

CIRÒ BIANCO 2017 [Tenuta del Conte, Cirò Marina, KR]

La costa ionica della Calabria racchiude un gioiello luminoso e importante: il vigneto dell’area di Cirò Marina. Francesco Parrilla è un vignaiolo sicuramente da contare tra i protagonisti della Cirò Revolution, la voce che grida come anche negli angoli più remoti della Terra si producano vini degni di una conoscenza mondiale.

Cirò Bianco, da uve greco bianco è forse il fratello minore di un già poco conosciuto Cirò Rosso, ottenute dal localissimo gaglioppo. Ma questo calice è strepitoso. Una leggiadra nota ossidativa introduce i profumi del vino, che aprono a tutto un mondo vegetale sparso: l’erba falciata, la corteccia degli alberi, la felce. Man mano che passa il tempo varchiamo la porta d’una fumeria, i rimandi d’incenso ci inebetiscono. Ecco la Calabria: scorza d’agrume verde, bergamotto che incede agguerrito. Cera d’api, colta così al volo. Non si smetterebbe mai di annusare, ma l’assaggio è un invito che non può essere rifiutato: elegante. Un sale finissimo e persistente, una acidità sostenuta ed educatissima. Richiami di bergamotto, effluvi balsamici, rilassante aroma di tè verde. Un tocco morbido e salmastro. Assurdo.

NOSTRANU 2016 [Cantina Berritta, Dorgali, NU]

Presente anche l’anno scorso con il suo Panzale 2017, ritroviamo Francesco Berritta anche in questa edizione, con la versione d’ingresso del suo cannonau. E se il buongiorno si vede dal mattino… Giusto per dire che la vera anima sarda non è quella roba che vi raccontano nelle pubblicità.

Questo è un vino assolutamente sussurrato, niente di più precisamente agli antipodi rispetto al nome dell’uva da cui nasce. Delicatissimo e il colore e il profumo. Un romantico e aromatico incedere di succo limpido di bacche rosse, afflato nebuloso di talco. Suggerimenti tostati, polvere di caffè appena macinato. Un lampo: pastelli a cera. Soffio di profumi agrumati. Tutto è preciso, tutto ben scandito eppure nessun vociare, niente è se non udibile bisbiglìo. Assaggiarlo si deve, per avere un primo contrasto: una acidità appuntita, con richiami d’agrume. La sapidità è un po’ tenue, il tannino davvero un bellissimo fruscìo. Un assaggio magnifico.

TORRACCIA ROUGE 2014 [Domaine de Torraccia, Corsica, Porto Vecchio]

Si era in febbraio, ma le giornate d’Alsazia eran certo più che tiepide. Sicuro il sole splendeva sopra Strasburgo, quel giorno all’ingresso del Salon des Vins des Vignerons Indépendants… Ed era un calore che potevamo ritrovare alla postazione di Marc e Christian Imbert, vignaioli Corsi e d’interessanti produzioni. Si chiacchiera, si assaggia, si commenta… Ci regalano due, tre bottiglie: “per la scuola”, dicono, avendogli noi descritto la nostra organizzazione di incontri di avvicinamento al vino… Encore merci et à bientôt, Marc et Christian!  

Qui c’è tutto il senso della Corsica del vino: niellucciu, sciaccarellu, grenache, syrah. Ovvero, la tradizione italica del sangiovese e del complementare mammolo, ma raccontata con un accento diverso, e la grande storia della Francia mediterranea. Un calice di un bel color rubino, luminoso. Si presenta con delicatezza, quasi un possibile legame col cannonau appena trascorso. Gli aromi sono vegetali, freschi, imbrigliati da una nota lattica che un po’ impasta. Ma ancora, i profumi di agrumi, di pompelmo, rivitalizzano e ingolosiscono. La bocca è leggermente ruvida, con una astringenza di certa importanza: un carattere mediterraneo e rurale, fiero di esibirsi. Richiami ematici e ferrosi. Una notevole freschezza emerge a vivacizzare l’assaggio, appena il tannino molla un po’ la presa. Godibile, espressivo: e anche, forse, da attendere un altro po’.

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Goriska Brda: Klinec e Nando

20190912_Klinec VS Nando

Serata entusiasmante, dedicata a due campioni dei vini naturali sloveni. Due aziende che si fanno interpreti dei vitigni e delle tecniche tradizionali del territorio, con qualche sconfino nelle uve internazionali. Etichette introvabili, bottiglie decennali con un fascino assoluto.

Nando

Andrej Kristančič [Plesivo, Goriska Brda]

L’azienda agricola Nando si trova a Plesivo, comune della zona di Brda e della regione Primorska. Un’azienda che a tutti gli effetti sorpassa le divisioni di confine: dei 5,5 ettari, il 60% si trova nel Collio Goriziano e il 40% in Goriska Brda.

L’ambiente pedo-climatico unico è particolarmente adatto per i vini bianchi. I vigneti sono terrazzati, situati ad un’altitudine tra i 100 e i 200 metri sul livello del mare e piantati con uve tradizionali e internazionali: Ribolla, Tokaj, Chardonnay e Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon e Merlot. Le viti vanno dai 9 ai 40 anni, con rese generalmente comprese fra i 40 e i 60 quintali per ettaro. Il terreno è rappresentato dalla caratteristica ponca.

In vigna vengono utilizzati con parsimonia solo trattamenti a base di rame e zolfo, mentre sono esclusi interventi a base di prodotti chimici di sintesi. Il suolo è lasciato inerbito e la vendemmia è manuale, con uve raccolte in piena maturità tra settembre a ottobre.

In cantina si prediligono le fermentazioni spontanee, senza aggiunta di lieviti selezionati, zolfo o altri prodotti chimici. Solo in fase di imbottigliamento, quando necessario, viene utilizzato un minimo dosaggio di SO2.

L’attuale titolare della cantina Nando è Andrej Kristančič, abituato a lavorare alla produzione di vino con la sua famiglia da circa 25 anni. La formazione scolastica in enologia gli ha consentito di ampliare i propri orizzonti, continuando allo stesso tempo la tradizione inaugurata dal nonno, Nando. Lo stile produttivo di Andrej è non-interventista, legato ad una sapienza assolutamente rurale del lavoro della terra.

L’etichetta Nando raggruppa due diverse gamme di vini. Etichetta Blu, per cui le fermentazioni avvengono soltanto in acciaio, dopo una macerazione che varia dalle 12 ore agli 8 giorni. Etichetta Nera, in cui si segue la tradizione slovena degli orange wine, con macerazioni protratte anche a 40 giorni e fermentazioni in botti di rovere da 500 litri, fino a 18 mesi.

I vini non vengono filtrati né stabilizzati. Il lavoro procede secondo i criteri della conduzione biologica, tuttavia non certificata.

Klinec

Aleks Klinec [Medana, Goriska Brda]

Nove diverse parcelle in località Medana, per un totale di circa 6 ettari, appena al di là del confine italo-sloveno, situate ad una altitudine compresa tra i 150 e i 180 metri sul livello del mare.

L’azienda di Aleks Klinec è votata ad una agricoltura sostenibile, in particolar modo cercando di interpretare i dettami della conduzione biodinamica dei vigneti. Il sistema di allevamento utilizzato è la lyra, simile al guyotma con due cordoni contrapposti, utili a preservare una maggiore superficie fogliare. Si cerca di ottenere, in questo modo, un carico massimo per pianta di circa un chilo.

La difesa delle viti dalle malattie avviene esclusivamente nel rispetto dell’ambiente, attraverso trattamenti a base di estratti di alghe e piante. In caso di necessità si ricorre a soluzioni a base di argille acide, silicati, rame e zolfo. Sono banditi gli interventi a base di agenti chimici di sintesi. L’inerbimento del suolo è una pratica assolutamente valorizzata perché concorre al naturale equilibrio simbiotico tra la vite e le altre specie vegetali, cioè all’ecosistema specifico di ciascun vigneto.

In cantina si vinificano esclusivamente uve di proprietà, vendemmiate a mano in ceste da 20 chilogrammi e diraspate prima di essere avviate alla macerazione in vasche di cemento.

Le colonie di lieviti naturali presenti in cantina, oltre a quelli sulle bucce, assicurano che la fermentazione alcolica abbia inizio rapidamente e proceda regolarmente. La macerazione a contatto con le bucce dura solitamente alcuni giorni, dopodiché si procede a pressatura e al travaso dei vini. I contenitori utilizzati si richiamano direttamente alla tradizione di questa regione: sono botti di acacia, gelso, ciliegio selvatico e rovere, in cui i vini compiranno la fermentazione malolattica e matureranno sulle fecce fini per un periodo tra i due e i tre anni. Le botti sono di varie dimensioni e capacità – da 3 a 20 ettolitri – e portano nomi appartenenti alla tradizione, come ad esempio kalater, golber, startin, baton.

I vini sostano, successivamente, per qualche mese in cisterne d’acciaio, al fine di decantare e divenire limpidi. Solo in fase di imbottigliamento si procede con un minimo dosaggio di SO2.

Nessuna filtrazione o chiarifica chimica sono previste.


Klinec

Bela Quela 2006

Ambrato. Succoso con accenno infinitesimale di smalto. Quasi un’idea di vermouth. Frutta a polpa gialla, albicocca. Poi sottobosco, idea di fungo. L’impatto all’assaggio è decisamente salato! Sotto si rivela denso, polposo. Un momento di passaggio a sentori di brodo corrisponde all’emergere di sapori di erbe aromatiche essiccate. La sapidità è il registro su cui si regge tutto: un vino che bypassa il sostegno dell’acidità e comunque non si rivela stanco, non crolla.

Bela Quela 2003

Il 2004 segna l’anno della svolta ad un approccio biodinamico completo: l’occhio coglie già un’incredibile differenza. Colore dorato, luminosissimo. Immediate al naso sono le note fumé. E poi un ambiente marino, così salmastro quasi da rimandare l’idea al frantoio. Anche l’assaggio è su questi toni, iodati e in salamoia, sale fino: l’immagine dll’uliveto con i frutti appesi al ramo è martellante. Morbido e minerale: sapidità notevole, ma più controllata del 2006, più… ricamata.

Bela Quela 1999

Peccato! Peccato davvero, quel sughero infido… Tappo, non v’è dubbio. Leggerissimo inizialmente, si allarga poi in maniera esponenziale col tempo. Peccato, perché assaggiato subito appena aperto il vino sorprendeva egregiamente per una sapidità esplosiva e per quella polpa che stava lì ad aspettare solo di emergere completa. Ma il tricloroanisolo ha poi spazzato via ogni piacere d’assaggio… 


Nando

Rebula 2006

Ambrato e polveroso. Un profumo vivace, esuberante, sicuramente più giovanile del 2006 Bela Quela. Immediate immagini di infusi, di tè, di spirito: mi sovvengono quegli zuccherini in barattolo, alcol puro da fine sera… Ancora, la paglia, i fiori di campo e i frutti gialli. In bocca è decisamente sapido, con una acidità vibrante.

Rebula 2005

Ambrato e limpido. Accogliente con bellissimi profumi agrumati, note di mandarino. C’è un che di effervescente in questo naso, un’idea di caramella lemon-fritz. Attacco sapido sul palato e la lingua, astringente sulle guance e le gengive, un giovincello muscoloso! Richiami vagamente amaricanti, come di aromi tostati.

Rebula 2004

Ambrato e limpido. Ritorna l’agrume e poi note che fan pensare al liquore, al distillato, un po’ al caramello. L’idea di frutta sotto spirito spinge quasi a figurare la ciliegia… In bocca dà l’impressione di un succo di frutta limpido, di un sale finissimo e intenso. Le sensazioni sono bellissime, eppure forse un po’ effimere, di corsa, senza salutare…

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Cortona Syrah, una orizzontale sul 2010

20181004_Cortona Syrah DOC

Le argille, il limo, le sabbie grosse e quelle più fini… tutto il suolo di questa porzione di Toscana parla di un grande fiume, dei depositi alluvionali. Eppure non è il Rodano, questo meridione della provincia d’Arezzo. Ma tanto fa il terreno quanto il clima, l’adattamento delle viti quanto il lavoro dell’uomo, che possiamo oggi riconoscere una sorta di Côte-du-Rhone italiana proprio sulle colline che circondano Cortona. Le minuziose ricerche condotte agli inizi degli anni Settanta, relativamente alla geologia e all’ambiente pedoclimatico, portarono alla decisione di impiantare un vigneto sperimentale nel cortonese, composto da diversi cloni e varietà di Syrah per capire quale avrebbe dato la miglior risposta al microclima della zona. La stretta collaborazione, a partire dal 1988, tra il professor Attilio Scienza e la famiglia d’Alessandro, inoltre, dimostrò che le potenzialità del vitigno e del territorio portavano a risultati straordinari e che la scommessa poteva considerarsi vinta. A partire dagli anni Novanta, l’esotico Syrah diventa il portabandiera della denominazione Cortona: l’unica DOC che riporta questo vitigno nel proprio nome.

La sera del 4 ottobre 2018, Sommelier Social Club apre le porte a pochi eletti che hanno la possibilità di partecipare ad una interessantissima orizzontale di Cortona Syrah DOC, incentrata sul millesimo 2010. Cinque i protagonisti della serata: cinque azienda di riconosciuta tradizione e capacità nella vinificazione del Syrah in Toscana. Vediamoli recensiti in ordine di servizio, rigorosamente avvenuto alla cieca.

Syrah 2010, Stefano Amerighi
Evento degustazione alla cieca dedicato alla vendemmia 2010 del Cortona Syrah DOC. Stefano Amerighi, Luigi d’Alessandro, Fabrizio Dionisio, Società Vinicola Lagarini, Tenuta La Braccesca Antinori, Fattoria di Magliano – Sommelier Social Club, Nerviano, Milano

SYRAH, Stefano Amerighi. Poggiobello di Farneta, Cortona.

Certificazione biodinamica. La fermentazione è spontanea e l’affinamento avviene in legno e cemento, per un periodo di 14 mesi.

Il più caratterizzato e distante, al naso, tra tutti i vini in batteria. Si presenta subito come una personalità estremamente fine ed elegantissima. La nota che ha accomunato molti commenti è stata quella cinerea, del sigaro spento o del camino freddo: un empireumatico autunnale e riflessivo. Amalgamato ai caldi profumi tostati dell’essenza di legno, della fava di cacao e a sentori animali, come di certa selvaggina da pelo. Una valutazione subito mi affiora: c’est super! Quando poi la temperatura riscalda un attimo e il legno diventa aromatico, quasi di sandalo, è una scala verso il Paradiso. La bocca è una sorpresa. Nonostante il color rubino sia piuttosto esangue rispetto ai vicini di calice, – e porterebbe giusto a immaginare un assaggio alquanto affillato –  la mente è comunque rapita da quella suadenza calda e aromatica. E però, la cenere iniziale deve metter sull’avviso. Il sorso è dritto, infatti, caldo sì, ma teso. Con ritorni di tostato e bruciato che portano fin verso un accenno di goudron. Regale.

Migliara 2010, Tenimenti d'Alessandro
Evento degustazione alla cieca dedicato alla vendemmia 2010 del Cortona Syrah DOC. Stefano Amerighi, Luigi d’Alessandro, Fabrizio Dionisio, Società Vinicola Lagarini, Tenuta La Braccesca Antinori, Fattoria di Magliano – Sommelier Social Club, Nerviano, Milano

MIGLIARA, Tenimenti d’Alessandro. Luigi d’Alessandro, Cortona.

30 giorni di macerazione e vinificazione in tini troncoconici. Affinamento in barrique per 12 mesi e botti da 32 ettolitri per 24 mesi.

Uno sguardo intenso, profondo, quel rosso quasi impenetrabile. Il naso, qui, cattura davvero la potenza espressiva di una pasticceria che spalanca le porte dei suoi forni d’epoca: la crema alla vaniglia, l’amarena matura. Il profumo è talmente goloso da apparire denso, come una fata morgana in pieno deserto. E poi, ecco, la rotazione, l’ossigeno e l’apertura di uno scrigno nascosto sotto il pavimento del pasticcere: arrivano sentori che virano lontano, verso il mare, il salmastro. Spicca un descrittore come la tintura di iodio e poi, a furor di popolo, l’oliva taggiasca, che trova peraltro un rimando preciso all’assaggio: il sorso offre sensazioni saline, gustose, l’umami propriamente detto. Un succo di bacca rossa, limpido e preciso, racchiuso entro una struttura calda e tannica straordinariamente equilibrata. Emozionale.

Il Castagno 2010, Fabrizio Dionisio
Evento degustazione alla cieca dedicato alla vendemmia 2010 del Cortona Syrah DOC. Stefano Amerighi, Luigi d’Alessandro, Fabrizio Dionisio, Società Vinicola Lagarini, Tenuta La Braccesca Antinori, Fattoria di Magliano – Sommelier Social Club, Nerviano, Milano

IL CASTAGNO, Fabrizio Dionisio. Località Castagno, Cortona.

21 giorni di macerazione. Vinificazione in acciaio e poi una maturazione di 18 mesi in barrique. Affinamento in bottiglia per ulteriori 12 mesi.

Inequivocabile dolcezza è l’immagine che l’olfatto ruba a questo calice. La vaniglia, sicuro, la frutta matura, senz’altro… ma in una ricetta più eterea e meno voluttuosa rispetto al Migliara. Tant’è che si insinua alla percezione un’efebica sensazione di volatile, come a rinfrescar tutto il paesaggio: e su quella scia, vado a cogliere un sentore di balsamico. Tenue, inizialmente; ma che poi ingrandisce in un appagante mentolato diffuso. La bocca è sorpresa, dopo questo Parnaso, da un tannino ben espresso, polveroso, a guisa di un intenso cacao.

DOC Cortona Syrah 0,618 2010, Leuta
Evento degustazione alla cieca dedicato alla vendemmia 2010 del Cortona Syrah DOC. Stefano Amerighi, Luigi d’Alessandro, Fabrizio Dionisio, Società Vinicola Lagarini, Tenuta La Braccesca Antinori, Fattoria di Magliano – Sommelier Social Club, Nerviano, Milano

0,618, Leuta. Società Vinicola Lagarini, Cortona.

Certificazione biologica. Un percorso particolare, l’affinamento di questo Syrah: differenti barrique per 12 mesi, poi 2 in acciaio per concludere con 9 mesi in bottiglia.

L’ordine di servizio offre al secondo verstao  il ruolo di calice di paragone per i vini successivi. Anche lo 0,618 viene fatto partecipe delle preparazioni dolciarie di Migliara: le sensazioni di dolcezza e di morbidezza che il naso lascia immaginare sono anche qui notevoli. La nota vanigliata accompagna il frutto scuro maturo in un impasto piuttosto importante: si va più in densità rispetto al Castagno. Emerge, interessante e pungente, un profumo agrumato di scorza. Lo si ritroverà al sorso, nella persistenza finale. L’assaggio è un po’ dominato dal tannino, da un’astringenza piuttosto muscolosa che va alquanto a stritolare il corpo del vino, rimasto quasi troppo leggero.

Bramasole 2010, Tenuta La Braccesca
Evento degustazione alla cieca dedicato alla vendemmia 2010 del Cortona Syrah DOC. Stefano Amerighi, Luigi d’Alessandro, Fabrizio Dionisio, Società Vinicola Lagarini, Tenuta La Braccesca Antinori, Fattoria di Magliano – Sommelier Social Club, Nerviano, Milano

BRAMASOLE, Tenuta La Braccesca. Marchesi Antinori, sede in Montepulciano.

28 giorni di macerazione. Maturazione e fermentazione malolattica si svolgono in barrique nuove, in un periodo di 18 mesi. Segue un ulteriore anno di affinamento in bottiglia.

Il colore appare subito come il più cupo della batteria e il naso segue a ruota quella profondità: il frutto molto denso, la composta, il balsamico della canfora, il legno di rovere. Nel tornare su tutti i calici a rinfrescar memoria, questo palesa indubbiamente il carattere smaccatamente più fruttato. E anche quello più segnato dalla botte. Non manca, tra le infinite rotazioni e aperture, una certa sfumatura di etereo, come di colla vinilica. La bocca segue dappresso e offre un assaggio degno della dolcezza olfattiva, tutto da polpa di frutto scuro maturo. Una beva morbida, levigata, da addentare lussuriosi.


Stay tuned!