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La birra monovitigno

Italia, terra di eterni dualismi.

Coppi o Bartali, Rivera o Mazzola, il mare o la montagna, la colomba o il panettone, il vino o la birra… Certo, quest’ultima dicotomia è di tempi assai recenti: soltanto negli ultimi vent’anni, infatti, si è sviluppato un discorso interessante intorno alla birra artigianale italiana. E però, da quel momento di strada ne è stata fatta e pure di corsa! Non sarà quindi un caso se proprio all’Italia è toccato in sorte di inventarsi un trait-d’union tra due mondi. Converrà, quindi, abbandonare l’autoctono campanilismo per far luce, piuttosto, sull’incontro tra queste due realtà e sulla trasformazione birraria che l’elemento enologico ha saputo apportare, maneggiato dalla sapienza di alcuni capaci creativi. Il matrimonio in questione è da tempo, ormai, così ricorrente nei birrifici nostrani che ha giustificato il conio del termine “Italian Style”: si tratta dello stile Italian Grape Ale, formalizzato dal Beer Judge Certification Program, l’organismo internazionale che sovrintende ai concorsi birrari e alle classificazioni.

L’uva compare in etichetta come ingrediente, risalta in maniera più o meno evidente all’assaggio. In ogni caso, rappresenta qualcosa di più di una semplice aromatizzazione: nella maggior parte dei casi, la voglia di ancorarsi al territorio, di sintetizzare e tradurre in birra la cultura enoica che il birraio stesso ha spesso e volentieri respirato fin da piccolo. Elemento questo che lo spinge ad aggiungere l’uva o il suo mosto nel tino, rendendo un gesto apparentemente inconsueto così chiaro, sensato e in molti casi appagante.

 

JADIS, Birrificio Toccalmatto [Fidenza PR]

Double Wit preparata con mosto di uve Fortana. Alc. vol. 6,5% – cl 75

Tutta l’Emilia Romagna spumeggia in questa bottiglia e il calice è rosè: davvero un gran bell’occhio, una sfumatura vivida da Champagne. Le note aromatiche sono belle evidenze della birra che sta alla base: la profumatissima Wit, con il suo agrumato di scorze d’arancia e il suo speziato di coriandolo. Una certa vena rustica indugia verso il vitigno. Che al palato si espone, rivelandosi proprio in centro bocca come una vena di grip tannico e lasciandoci una certa sensazione di masticabilità intorno ai denti. Come fanno delle belle Fortana, atte all’accompagnamento dei salumi locali.

LIMES, Birrificio Brùton [Lucca]

Strong Ale preparata con mosto di uve Vermentino. Alc. vol. 6,5% – cl 33

Il “chilometro zero” sta tutto all’interno di questa birra, ma è comunque valido: il birrificio di Lucca utilizza le uve coltivate alla Fattoria di Magliano, in provincia di Grosseto. Un affare di famiglia, insomma, che vede un imprenditore appassionato di vino trasformarsi in vitivinicultore appassionato di birra…

E’ bella, nella sua veste dorata opalescente.

E’ profumata d’estate e di sentori citrini. Sabbia calda, paglia secca. La carica acida e quasi sapida è un elemento fondante dell’assaggio, il corpo sostenuto ma in equilibrio perfetto con una certa facilità di beva.

TIBIR, Birrificio Montegioco [Montegioco AL]

Strong Ale preparata con mosto di uve Timorasso. Alc. vol. 8% – cl 75

Anche qui, il gioco degli autoctoni assume una carica particolare. Il birrificio della provincia di Alessandria utilizza IL vitigno della provincia di Alessandria, l’uva regina dei Colli Tortonesi. Il Timorasso è risorto e tornato in auge grazie all’opera instancabile di alcuni magistrali viticultori e Walter Massa, uno su tutti, amico di Riccardo Franzosi, collabora con il birraio nelle sue pazze e creative idee birrarie.

Tibir è davvero potente. Si presenta con un attacco selvatico degno di un vitigno rampante e antico: sentori di scuderia, tra sella, crine, paglia bagnata, ci risvegliano i sensi, seguiti dal terziario che arriva fino all’idrocarburo. Poi il vegetale del campo: fiori gialli, sterpaglia. E che bocca! Una frizzantezza finissima, una crema che fodera le guance e che dà calore. L’uva, con la sua carica di terziari tipici è subito lì ad alzare la mano e dire “presente!”.

IBRIGA, Birrificio Oltrepo’ [Valverde PV]

Birra chiara preparata con mosto di uve Pinot Nero. Alc. vol. 10% – cl 75

Quanto ci sarebbe da star qui a disquisire sul vitigno, sui vini e sulla storia che si trascinano dietro?… Ma qui è una birra, non il Pinot Noir. Una birra recuperata in extremis, tra l’altro; una sostituzione in zona cesarini [non è un copyright, Toccalmatto, vero?] con l’indisponibile BeerBera di Loverier. La ragazza pare se la sia cavata egregiamente, figurando addirittura come la preferita, sul taccuino di un partecipante alla serata.

Era decisamente etilico, il bicchiere, già al naso. Pungente, affilato. L’assaggio dava rilievo a questa caratteristica alcolicità, proprio in centro palato, e ad un calore potente, circondati da una morbidezza sorprendente e dolce. Molti ne hanno colto una seria somiglianza ad una generica birra d’abbazia belga: il calore, il corpo, l’alcol, la dolcezza maltata. E più in là, sicuramente la dolcezza dell’uva. C’era, probabilmente, lì sotto, il carattere del frutto rosso e del sottobosco che il Pinot Nero si porta a corredo.

Una bella scoperta.

BB10, Birrificio Barley [Maracalagonis CA]

Imperial Stout preparata con sapa di uve Cannonau. Alc. vol. 10% – cl 75

La sapa è un prodotto tipico delle feste natalizie, preparata a partire dal mosto di vino.
Il Cannonau è un frutto tipico delle vigne sarde, instancabile viaggiatore della mediterranea costa europea.

Eppure, la BB10 manifesta più di tutte le altre etichette il suo essere birra. L’impronta Imperial Stout alla base sembrava inconfondibile, con il corredo di aromi tostati, cioccolatosi prima che caffettosi e caramellati. Sulla ricchezza di questa prima soglia, si innesta poi l’abbondanza delle sensazioni polpose dell’uva matura, della dolcezza di un mosto che va concentrandosi e aromatizzandosi con le scorze d’arancia. Il calore giova ad un bicchiere complesso, sicuramente il più articolato della serata. In un crescendo di effluvi dai toni scuri, morbidi e caldi che vanno a costituire un unicum, piuttosto che a definire una spartizione “questa è la parte di birra/ questa è la parte di vino”.

EQUILIBRISTA, Birra del Borgo [Borgorose RI]

Saison preparata con mosto di uve Sangiovese. Alc. vol. 10,9% – cl 75

Qui il discorso si fa seriamente complicato.

Il mosto di una birra fermentato insieme al mosto di un vino e poi il tutto preparato come uno Champagne… E la confezione? Eccelsa: astuccio di cartone nero, con logo serigrafato in oro.

La birra di base è la Duchessa, una Saison prodotta con farro di Garfagnana. La parte enologica è niente po’ po’ di meno che mosto di uve Sangiovese della Tenuta di Bibbiano, ovverosia un Chianti Classico da una delle cantine di maggior pregio… E poi, via alle danze con liquer de tirage, remuage, degorgement, liquer d’expedition, per ballare fino a tarda ora il valzer soave del metodo champenoise. Indubbiamente, dal colore scarno e languido, fino al palato, acido e fruttato, la birra più vino di tutta la serata. Un Sangiovese di frizzante cremosità, con sentori di bacca e di minerale.

Facciamo un esperimento? Signori Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi, portatevi in cantina un fusto di mosto di Duchessa e inventatevi un nuovo modo di interpretare la Docg Chianti Classico… Che bomba!

MOSCATA, Birrificio Birranova [Triggianello BA]

Barley Wine preparata con mosto di uve Moscato. Alc. vol. 9% – cl 33

Dulcis in fundo, calza a pennello dire.

Quante volte avremo sentito dire che la birra “é troppo amara”, da chi non ne beve? Avrebbero dovuto iniziare con questa! La Moscata è davvero un nettare, il Moscato col pandoro, con i dolcetti da forno. E’ ricca già dal colore, un dorato carico e velato, impenetrabile. E’ ricco il naso, di sensazioni zuccherose, di uva matura. La bocca, infine, è un’esplosione di corposità dolce, da manciata di marshmellows. Il vitigno aromatico fa una birra aromatica: spettacolare consequenzialità.