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LA NOTTE DELLE BOTTI: Costamasnaga, Ines Beer BQ

Splende il sole, o quasi, tra qualche nuvola sparsa sul cielo di Costamasnaga. Ines Beer B-Q, giovane locale specializzato nelle lente cotture all’americana, apre i battenti per ospitare un evento di estremo quanto attuale interesse, con l’organizzazione di The Good Beer Society… No, non si tratta del giorno lungo ventiquattr’ore del circolo polare artico: siamo davvero nella Brianza lecchese, ma La Notte delle Botti cala a mezzogiorno, o giù di lì. La scusa per recuperare qualcosa al volo da una delle spine già approntate e andare a curiosare il menù con sommo languorino, è bell’e servita. La spedizione condotta in solitaria prevede l’armamento tipico del caso: il telefono per poter fotografare, postare, organizzare; il taccuino e la matita, per non lasciarsi sfuggire i pensieri; buona volontà di assaggiare e, dulcis in fundo, rilassatezza per ascoltare i racconti dei protagonisti… Del resto, ad essere in due si sa quanto si possa raccogliere di più, tanto d’orecchi quanto d’occhi e, soprattutto, bere tendenzialmente il doppio. Altresì vero che sono proprio i soci i primi bidonari dell’ultimo secondo: mi godo allora la mia gita, con un itinerario dettato da mero gusto soggettivo.

BIRRIFICIO DEL DUCATO, Soragna [PR]

ENTRENEUSE, Barrel Aged Tripel, 9.4%

Ovverosia, come partire col botto! La base è una Belgian Strong Ale che visita poi una barrique di Brunello di Montalcino per una dozzina di mesi, con inoculo di brettanomiceti… Il risultato è un bicchiere di una complessità e di una eleganza spaventose. Molto ben equilibrati gli aromi fruttati dalla Tripel e i sentori di cuoio e di polvere di legno dalla barrique.

LUNA ROSSA 2017, Sour Ale con Amarene, 8.0%

Un dejà vu, ma in realtà quanto differente! A quanto pare è proprio vero che i lieviti sono esserini vivi e si accomodano e si assestano col tempo all’interno della “loro” cantina, dando origine ad una flora quantomai autoctona. Così questa versione 2017 della Luna mi appare più amalgamata di un assaggio di un paio d’anni fa: l’amarena molto presente, l’acidità bella espressa senza occhieggiare troppo all’acetico.

BIRRIFICIO RURALE, Desio [MB]

SIMPHONIA, Gueuze, 6%

“Con tutto il rispetto”, una simil-gueuze… Birra a fermentazione semi-spontanea, per via dell’aggiunta dell’eccesso fermentativo derivato da un esperimento con la Seta, in cui si sono prodotti dei mostri incredibili, a quanto pare – e che non vedo l’ora di provare, evidentemente! L’assaggio mi ha dato l’idea di un perfetto “Lambic per neofiti”, per chi si incuriosisce del mondo acido, ma ne risulta ancora un po’ spaventato: tutti i sentori emblematici, dal lattico, al citrino, all’umido di cantina, dicono presente, ma con una leggerezza inusitata.

BARREL WORKS 1.0, Barrel Double IPA, 9.5%

Si parte da una birra già sostenuta, la Scarliga, la più potente della batteria Rurale. Assaggio. E penso: LA Birra passata in botte! Scarsa la componente sour, invero non ricercata, accennata unicamente da un indizio lattico in sottofondo, tutto il bicchiere è giocato sulla forza, sul corpo e sull’eleganza della combinazione: densità, calore alcolico, complessità del legno e aromi di carruba, speziato di pepe nero, vegetali secchi…

BIRRIFICIO SANT’ANDREA, Vercelli

FOG BARREL, Witbier, 4.5%

La versione barricata della storica Fog, la Wit da cui emergono i classici sentori di arancia amara e coriandolo trasformati in una versione “vintage”, levigati dal legno. Praticamente piatta, conserva una beva facile e rivela una maggiore corposità rispetto alla birra originale, con un finale piacevolmente balsamico.

RIOT BARREL, Belgian Strong Ale, 8.6%

Un’altra birra di gamma proposta in versione barrique: la Belgian Strong Ale incontra il legno di Renzo Losi per dare vita ad un sorso potente, sostenuto da sentori intensi di quercia, corteccia, polvere di falegnameria. Note altalenanti di vegetale verde e scuro di fava fermentata. Bel finale pieno su note di miele di castagno.

BIRRIFICIO LARIANO, Sirone [LC]

MAREN, Oak Aged con Amarene, 5.4%

Malto Pils e malto di frumento a costituire la birra base da passare poi in botti di rovere che hanno accolto per diversi passaggi vini quali Chianti o Barolo. Schiuma praticamente assente, lo sguardo è tutto attratto da un colore rosso carminio saturo, da scala Pantone, praticamente impenetrabile. L’idea di una birra piatta è smentita dalla frizzantezza sottile e piacevole che si avverte sulla lingua. I sentori, al naso come al palato, sono inequivocabilmente sul frutto, sull’amarena. Finale leggermente sapido e senza tracce di sour.

DRACO’S CAVE, Affinatore, Lissone [MB]

CRAZY BLONDE PEACH, Belgian Strong Ale, 5.8%

In collaborazione con Railroad Brewing Co., una Belgian Strong Ale affinata tre mesi in botti di rovere. L’aggiunta delle pesche la rende un incredibile aperitivo: sentori delicatissimi di frutta gialla al naso e ripresa del gusto della pesca al palato, ma con un approccio talmente delicato da non risultare mai invadente sulla componente maltata, luppolata, speziata della birra.

FUNKY’N’FUNNY, Saison, 5.7%

Ricetta propria per questo bell’esempio di Saison dal netto impatto stilistico: i lieviti apportano tutto il loro carattere speziato, fruttato, pepato… L’assaggio risulta molto rotondo, con una predominanza decisa di nocciola, mentre l’usuale secchezza è smorzata e levigata dal legno in toni leggermente più dolci.

BIRRIFICIO ITALIANO, Lurago Marinone [CO] / KLANBARRIQUE, Rovereto [TN]

WILDEKIND, Belgian Ale, 7.7%

Ispirazione belga che piacevolmente mi sorprende, per una ricetta di Agostino Arioli… Bellissimo calice carico di oro, praticamente impenetrabile. Naso ipnotizzato da sentori di frutta gialla e perfetta corrispondenza al palato con un rimando evidente alla pesca. Carbonica contenuta e piacevole, legno in profondità, come un’idea che avvolge il tutto e lo ammorbidisce, senza lasciare segni evidenti di presenza.

FLOS ALBA, Weizen, 4.8%

Una birra di frumento acida, preparata con l’aggiunta di estratto di bergamotto: non saprei pronunciarmi in favore delle sole scorze, per via di un balsamico non propriamente esplosivo, quanto piuttosto verso il frutto intero, per un amaro di agrume più percettibile. Il frutto si presenta al naso, in una veste giallo oro molto satura e questo fruttato di scorze e l’amaro che potrebbe essere agrume come luppolo mi portano ad un Sauvignon del nuovissimo mondo…

MARZARIMEN, Italian Grape Ale

Fermentazione sulle bucce di uve Marzemino per produrre un naso assolutamente vinoso! Il bicchiere è di un rosso sangue impenetrabile, affascinante e senza schiuma di sorta. I sentori rimandano al carattere di un vino ritroso a svelarsi: note terrose, vaghissimo accenno acetico, frutto scuro, col tempo… Del resto, quel 25% di uva fa sentire tutto il suo peso. Una IGA davvero improntata all’enologia, con una componente watery che al palato, però, quasi svuota un po’ troppo l’attesa creatasi… Sicuramente da valutare paragonata ad un calice di originale Marzemino…

BLACK BARRELS, Torino

GOSE, Gose, 5.0%

Impatto olfattivo di polvere e muffa. C’è il malto, lì sotto, qualcosa di germanico… ma quanto lontano! Corrispondenza al palato sui toni di cantina, di ambiente chiuso e poi l’approssimarsi dell’atteso sale, ma trasfigurato in un ambiente completamente marino, quasi paludoso: salmastro, salamoia, acqua di sentina. Una birra tutta marinara, un’idea fulminante di confronto col vino Timorasso…

YELLOW DOCTOR, Bassa Fermentazione, 5.5%

Il passaggio in barrique suscita spontaneamente l’idea di una complessità particolare, di una bevuta da cercare di capire… Quanto di più lontano dall’esperienza della Yellow Doctor! Una birra davvero imprevedibilmente semplice, che si beve con tranquillità pur rivelando chiaramente ad ogni sorso una natura diversa: sentori di corteccia, di vegetale e una insospettabile anima lager.

 

Il passaggio in botte è un elemento di fascino inusitato e atavico. Rimanda indubbiamente alla birra dei secoli bui, all’immagine di immani vichinghi che pescano dai barili con boccali pantagruelici. La sorpresa, dopo svariati assaggi, sta invece nel cogliere quanta finezza ed eleganza possa celarsi dietro quel momento di affinamento: quasi che il ritorno alle origini produttive sia, al contrario, una proiezione verso un futuro di pulizia e sapori nuovi. Potenti o leggiadre, dense o scorrevoli, acide o fruttate, tutte le birre assaggiate propongono una identità sempre interessante e, nonostante sia ovvio il filtro del gusto soggettivo, soluzioni sempre valide.

Ragionavo, lungo la strada del ritorno, tra i rimandi delle note, dei sentori, degli aromi, i suoni ancora delle voci e dei racconti, sull’aspetto puramente economico della faccenda. Non è come approcciare un banco di degustazione del vino, questa storia delle degustazioni della birra. Forse non sono nemmeno degustazioni, nell’ottica dell’organizzatore dell’evento… Come più d’uno trovo a sottolineare, la birra cerca sempre quel distacco da qualsivoglia accademismo e ripudia ogni tentativo di ingessatura, che ne vogliono rappresentare la distanza stilistica dal mondo enologico. Le porzioni versate, infatti, elemento lampante di differenziazione, non erano ascrivibili ad un mero momento degustativo, quanto ad una vera e propria piccola bevuta: un bicchiere che permette un assaggio, un secondo e un terzo e consente di accomodarsi un momento per prendersi il tempo di scrivere, conversare e poi tornare a finire la propria birra. In tutto ciò, il pagamento in gettoni – che facevan tre euro a bicchiere – ci sta tutto: quattro o cinque birre assaggiate fanno quasi una serata in birreria, al soldo. Ma se l’intento è quello di procedere con certa serialità, per poter portare a casa un più ricco bottino di esperienze, ecco che il quadro si fa tendenzialmente drammatico e per quel mosaico di degustazioni messe insieme in giornata (peraltro non esaustivo di tutti i partecipanti), il portafogli assottiglia un po’ sfiancato. Forse prevedere differenti spillature per differenti contributi?

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TERROIRVINO 2014: la Verticale Bianca

 

DETTORI ROMANGIA IGT

Ladies and gentlemen, from Sorso & Sennori, Golfo Asinara: Alessandro Dettori!
Applausi, applausi, applausi. Un viso proprio da ragazzo, Alessandro, con quella testa di riccioli che richiama un po’ tempi vintage: l’epoca di Battisti e delle motociclette cromate. Chissà che polvere, a correre per gli sterrati lungo la costa, col sole che picchia negli occhi al tramonto!
La provincia è Sassari, in quella parte di terra stesa tra Castel Sardo e Porto Torres. L’orizzonte è puntato verso Genova, di là dal mare e non verso la Corsica, come il resto della costa. In realtà, ovviamente, la frastagliata linea corsa è subito lì e bisogna allungare lo sguardo con un certo effetto per voler avvistare la Lanterna e il Porto Antico… Ma è comunque bella questa dichiarazione d’affetto di Alessandro: il Vermentino, una faccia una razza.
Romangia“, ovverosia “terre romanizzate”. Un’indicazione quasi banale in Italia: quale terra non è stata romanizzata, sotto l’impero? E però, che declinazione esotica quel “romangia”, quale elegante e profonda eredità riesce a racchiudere e a trasmettere. I Romani organizzarono queste lande partendo da Porto Torres. Sorso e Sennori sono oggi i due comuni della regione storica di Romangia: Sorsoa valle, più presso il mare; Sennori in collina, guardiano dall’alto. Qui sopra, a trecento metri sul livello di un mare distante poco più di quattro chilometri, il sole si riflette sulle rocce bianche di calcare. E’ caldo d’estate: la temperatura dei raggi è amplificata dal biancore, la luce è calore. Più giù, verso la costa, il terreno è sabbioso: le viti stanno come in spiaggia, con le radici come piedi che scavano la battigia. Sono alberi queste viti, in senso stretto. La tradizionale coltivazione ad alberello è ancora dominante, anche se… Costava poco, un tempo, quando erano solo le mani; costa molto oggi che le mani scarseggiano e impazza la meccanica.
A dirlo, sembra grande questa Romangia, con i suoi milleduecento ettari. É la seconda zona vitivinicola della Sardegna, dopo Alghero. Sembra grande e sicuramente è una delle zone meno conosciute in Italia. Nasce sul finire degli anni ’50 la cooperativa “Sorso e Sennori”, per tramontare poco dopo, nel corso dei ’60: troppa la vicinanza a Sassari, la seconda città della Sardegna, che assorbiva tutta la produzione dei vignaioli della zona e se ne beveva tutto il vino. Per fortuna è un sacco di tempo fa e oggi, qui intorno al tavolo delle Degustazioni Dal Basso, ce n’è anche per noi!
Sottolinea bene Alessandro, ma senza enfasi maniacale da protagonismo hollywoodiano, che non esiste chimica di sintesi nella sua cantina. La solforosa non vi trova alloggio nè alleati, innanzitutto per una ragione filologica. La vinificazione avviene col lavoro di lieviti indigeni lasciati assolutamente allo stato brado: SO2 tende, per sua natura, a svolgere un’azione di selezione dei lieviti, dal che si produrrebbe un controsenso. Tutto molto semplice nel racconto di Alessandro, che va via rapido, come se questa magia del fare il vino fosse una cosa troppo normale per doverci spendere un sacco di parole tecniche: vinificazione in vasche di cemento, macerazione tra i due e i sei giorni, successiva svinatura; il mosto continua a fermentare in altre vasche e si travasa per due o tre volte. Stop. Bottiglia. Godimento!

Dettori Bianco Romangia Igt 2002
Una vendemmia piovosa porta in dote un tannino, tra buccia e vinaccioli, troppo amaro. Inizialmente il vino era davvero molto cattivo, ci racconta Alessandro. La vendemmia ha comunque dovuto procedere perché si era già ai primi di Ottobre e aspettare il sole avrebbe solo voluto dire far maturare l’uva per disidratazione. Il che non è gran cosa: gli zuccheri si concentrano a causa dell’evaporazione dell’acqua del frutto e non come nutrimento che arriva dalla pianta agli acini. L’attenzione che Dettori rivolge alla vita vegetale in senso ampio è davvero una filosofia esistenziale.
Il bicchiere punge con l’attacco salino e offre poi un accenno di miele. Si gioca tutto su queste sensazioni, con il sale su un fondo di dolcezza: il palcoscenico è proprio della sapidità, che pulsa sulle gengive e sul palato.
Che spettacolo: un sorso molto pieno, ma molto tagliente!

Dettori Bianco Romangia Igt 2004
Una classicissima annata sarda dove tutto avviene in maniera molto semplice (!).
La sapidità è la protagonista, dietro una cornice croccante che ricorda il biscotto e arriva addirittura alla vinaccia e al distillato.
Ottimo.

Dettori Bianco Romangia Igt 2005
La vendemmia con cui si spegne il frigorifero in cantina: anche i bianchi vanno prodotti senza il controllo delle temperature! Una motivazione logistica esiste: la precedente cantina era fuori terra e soffriva quindi di caldo eccessivo durante le estati sarde. Nella nuova cantina sotterranea, generalmente il mosto non supera i 24/25 gradi.
L’annata, invece, è stata davvero tropicale e le viti hanno patito più caldo del dovuto.
Il naso si presenta con un accenno vago di agrume e parlotta di composta di mela cotogna. Si ritrova nel bicchiere quell’andamento climatico: sfondo di frutta tropicale inserito in una cornice di distillato. Arriva poi, nel retronasale, la sensazione precisa della polvere di tè. Pieno, sapido, ma un po’ corto, come si svuotasse subito.
Buonissimo.

Dettori Bianco Romangia Igt 2006
Monumentale: una jeroboam che sembra uscita da antichi sotterranei oscuri.
E i tempi di cui necessitava prima del servizio, indubbiamente, dovevano essere lenti e più rispettosi. La trasferta ha troppo scosso il vino, che appare assolutamente torbido, quasi opaco. Al naso, certa nota ossidativa che si ripresenta alla bocca. Invocava una lunga decantazione.
Peccato.

Dettori Bianco Romangia Igt 2009
Un bicchiere che si presenta come un gemellaggio ligure con un impatto di basilico. Poi, il tè freddo. La carica alcolica si indovina assolutamente impressionante, la struttura molto carica. Al palato incuriosisce quella sensazione di frizzante… “Questo vino è stato imbottigliato a Marzo. Ho cercato di fare lo scienziato e l’ho pagata!”, ci spiega Dettori. Le fasi di vinificazione, tradizionalmente prevedono un travaso all’aria, in modo da permettere all’anidride carbonica di liberarsi completamente. L’imbottigliamento a Marzo ha accorciato i tempi e la CO2 è rimasta in parte nella bottiglia. In molti lamentavano una “rifermentazione in bottiglia”!
Sensazioni curiose e sentori terragni per un vino molto interessante.

Dettori Bianco Romangia Igt 2012
Una vendemmia che ha avuto bisogno di dodici giorni di macerazione perché il mosto, continuamente, rimaneva leggero agli assaggi.
Presenta quasi un naso da passito! Albicocca, frutta gialla matura.
E, a sostenere l’arco, quella usuale sapidità eccelsa che ti permette di dire “No, non è un vino da dessert: è una meraviglia!”.

Stupisce, sulla tovaglia candida della saletta fronte mare, la sfumatura dei bicchieri colmi. Il giallo brillante, la sabbia, l’arancione più o meno limpido… Vermentino e nient’altro e nient’altro che anni diversi, dentro quei calici. Ovviamente diversi, come ogni vendemmia dall’altra.
Fuori dall’ordinario, si deve dire di questo Alessandro Dettori. Una scoperta imprescindibile.

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TERROIRVINO 2014: La Basia e Guccione

VGM Tour, Novellara

 

AZIENDA AGRICOLA LA BASIA

La curiosità prima, devo ammetterlo, l’idea con cui partire all’esplorazione del TerroirVino. Già un appuntamento mancato mi aveva alzato il volume del desiderio di provare questi vini.
Così, veleggio innanzitutto verso le onde del Garda bresciano, ancora terra di Lombardia, giusto per darci un vago miraggio del mare che ci manca. Puegnago non è un nome che si fa ricordare facilmente. É pure un po’ complicato da pronunciare, mi fa scivolar via la lingua su tutto il palato.
Come invece sono precisi i vini che vi si fanno, gusti che si ricordano e a cui si vorrà di certo tornare.
Conosco a questo banco Giacomo, uno dei motori che fanno girare l’azienda. Un piacevole incontro con una persona appassionata, tecnica quanto basta e quanto serve, entusiasta di raccontare. Come amo questo modo di descrivere la propria realtà! Senza prevaricare le altre idee, senza dover sbandierare per forza una superiorità unicamente a fini commerciali, ma semplicemente con la voglia di parlare per far scoprire. Indubbiamente è stata una bella scoperta.

CHIARETTO LA MOGLIE UBRIACA 2013
Fa strano, a me personalmente e non so a chi altri, leggere quest’annata sulle etichette: perchè mi sembra solo ieri e, invece, c’è già bell’e pronto un vino! Strano mi sembra pure che delle uve così notoriamente intense e di colore e di struttura riescano a dare un brillantissimo bicchiere come questo. 60% Groppello e poi un 40% di Barbera, Sangiovese, Marzemino per una sfumatura luminosissima di rosa. Qui, nel 2013, è proprio divertente sentire una brezza marina che spira attraverso la pineta e porta una scorta di aromi balsamici. Tutto è molto lieve, certo, delicato ma proprio ben equilibrato, messo lì a puntino. Il sapido dei terreni, la nota accennato dell’eucalipto, il fruttino rosso molto croccante… Bello e buono!

CHIARETTO LA MOGLIE UBRIACA 2012
Più che un cronologico passo indietro è un cronologico gradino in basso: proprio nel senso che si scende più in profondità. Il fruttino è più maturo, il sorso è più rotondo. La sapidità di base resta sempre presente ed elegante, con un tono più rosso: ciliegia piuttosto che ribes. Il naso segue questo andamento più adulto e non è più la brezza tra gli alberi, quanto l’aria più calma del lago, con profumi più concentrati e già invitanti al desco più che all’aperitivo.

GROPPELLO LA BOTTE PIENA 2012
Intanto, da collegarsi alla precedente etichetta, chapeau a quest’intuizione proverbiale: come potrete mai separare i due vini in questione, nella vostra cantina?
Siamo qui di fronte a questo emblema della zona lombarda del Benaco: ma quanto mai sconosciuto! Credo proprio sia uno di quei vitigni, il signor Groppello, da conoscersi nel bicchiere prim’ancora che sui testi e sulle guide. Perchè non ti viene di andare a cercarlo, di fianco a nomi blasonati e un po’ gridati, in giro per l’Italia; il che sarebbe proprio un bell’errore, perchè ha un suo caratterino particolarissimo e invitante.
Qui abbiamo cinque giorni di macerazione, contro le poche ore del Chiaretto, e una composizione così elaborata: Groppello 85%, Barbera, Sangiovese e Marzemino 15%. Il che permette, racconta Giacomo, di preservare tutta quella bella carica aromatica del Groppello, ma di contenerlo un pochino nella sua esuberanza, specie tannica, attraverso quegli altri vitigni più adulti. Una verve briosa di pepe e di spezie fresche. Sia al naso che al palato offre le note amare del cacao e in bocca un certo tannino asciugante che si presta bene al piatto di lago in guazzetto.

GROPPELLO LA BOTTE PIENA 2011
Scenario diverso, con un attore che rimane in palcoscenico: il pepe. Ma la spezia è più ovattata, più lieve il suo sentore, avvolta come in un panno leggero di velluto. Il tannino è più morbido ed equilibrato. Ha un che di mediterraneo, questo vino, quasi a tornare deciso sul paragone tra il mare e il Garda: una bella sensazione di calore e una nota evidente di succo di frutto scuro, un sapore concentrato.

ROSSO SUPERIORE ESTATE DI S. MARTINO 2007
Che bel color granato, inclinando questo bicchiere! Direi che tendiamo proprio alla serietà, ormai! Dentro questo nuovo assaggio abbiamo questa nuova composizione: Groppello 50%, Barbera, Sangiovese e Marzemino 50%. L’insieme di uve classico della Valtenesi per produrre un rosso con tanto di passaggio in botte. Molto interessante, perché esprime un insieme di aromi ampio e bilanciatissimo. Il frutto è ormai maturo, rosso scuro o viola: la prugna, la mora; c’è ancora, sempre presente, la spezia, che si fa piuttosto potente: il pepe si fonde alle erbe officinali, in un bel girdino assolato. L’assaggio ha come sfondo una bellissima dolcezza da agrume maturo, l’arancia rossa. Considerando che fuori delle vetrate c’è davvero il mare, mi lascio trasportare col pensiero fino al mediterraneo francese per ritrovarne un’idea in questo vino un po’ di collina, un po’ di lago.

PREDEFITTE 2008
Approdiamo, infine, alla rarità piuttosto particolare. Un vino composto da un incrocio inconsueto: il Merlote il Teroldego che vanno a dare vita, nel corso degli anni ’30, al Rebo. Un vitigno assolutamente locale e di interessante approccio. Una struttura più importante rispetto al Groppello, una polpa molto ricca e tannini dolci. Quest’ultima sensazione è inequivocabile nel bicchiere, una nota come di spolverata di zucchero a velo emerge tonica al naso. Le lunghe macerazioni, sull’ordine dei quindici, venti giorni, ne fanno un vino più fondo al colore, più intenso al palato. Leggera la speziatura che, comunque, emerge insieme al sentore agrumato: il dolce della polpa e l’amaro della scorza che si fonde ad una profonda vena ferrosa, una punta ematica di ruggine. Sul finire, il cacao.


FRANCESCO GUCCIONE

Mi sposto poi rapido attraverso tutta l’Italia. Con una specifica richiesta sulle spalle e mosso, sempre e comunque, da non poca curiosità, approdo sulle rive di Francesco Guccione, mastro di vigna e di cantina in quel triangolo assolato che è la Sicilia.
Ripropongo qui i rapidi cenni del mio taccuino: era, purtroppo, già tarda l’ora e la chiacchierata si è dovuta rimandare. Testimoni, però, di essermi presentato al banco. E gli assaggi sono stati strepitosi! Gli alcol, nella media rimangono piuttosto bassi, sui 12.5/13 gradi: sono tutta struttura ed estratto quelli che fanno il vino.

TREBBIANO T 2012
Praticamente un Trebbiano autoctono, testimoniato in contrada Cerasa fin dal 1400.
Morbidissimo e quasi vagamente zuccherino nel finale: mi aspettavo un pugno roccioso e assaggio invece un petalo delicato.

CATARRATTO C 2012
Naso con pronunciata anima minerale. Bocca di fiore giallo, sabbia calda. Retronasale di scorza di agrume amaro. Praticamente un omaggio all’isola che lo produce!

ROSSO DI CERASA B 2012
Nerello Mascalesee Perricone: uno strano connubio che assume una veste tutta tradizionale in famiglia Guccione.
Un naso quasi vanigliato, morbido, di tendenza aerea; ricorda le piante giovani, le foglie e i rami flessuosi. Come fosse stato vinificato all’aria fresca di montagna, all’aperto. Si fonde molto bene la nota di dolcezza dell’arancia rossa insieme alla verve della sua scorza. E in fondo, all’antipode di quell’aria respirata in partenza, si rimettono i piedi a terra per trovare il frutto bruno, la radice, la terra, appena un accenno di liquirizia.

PERRICONE P 2012
Naso smaccato di arancia sanguinella. Tannino piuttosto pronunciato, ma sempre equilibrato. Una assoluta idea di maturità, in questo ragazzino di soli due anni!

NERELLO MASCALESE NM 2012
Un naso tutto sfumato di scarlatto e smeraldo. Frutto rosso e una nota vegetale appena accennata, di foglia verde. L’agrume qui si fa più dolce e lascia immaginare il mandarino. Un grip da frenata secca sull’asfalto nuovo, invece, alla bocca: pronto per piatti estremamente succulenti, con un tannino davvero deciso ma straordinariamente non invasivo, che sembra anzi quasi dolce di zucchero caramellato.

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TERROIRVINO 2014: Genova, Porto Antico

Terroirvino

 

I Pirati approdano a Genova.
Forti della loro maglietta nera VGM che li corazza contro la pioggia e dà quel senso di appartenere ad una ciurma più grande, scendono non direi proprio a rotta di collo, giù da Piazza Principe al Porto Antico. Seguendo i cartelli stradali, in realtà, ché la bussola non è proprio tarata su questa nuova latitudine enologica. Genova sotto il cielo grigio e un po’ lacrimoso è comunque calda: un po’ cupa, come un quieto rimbombo, un pulsare lento che ti segue dappresso.
Porto Antico non è mica la piazzetta davanti al bar! E i Magazzini del Cotone? Subito a chiedere, lì a quel bugigattolo nel mezzo della spianata, che un’idea maligna e arrogante ci aveva subito fatto pensare abbandonato. Invece, lo sapete come sanno essere gentili questi liguri capitali col turista che domanda? Forse sì, la signorina info point non poteva dedurre trattavasi di Pirati: altro ne sarebbe sortito, un fuggi fuggi, tutto un allarme, un al fuoco!, all’assassino! Ma noi siamo gente sorridente.
Tant’è che, percorsa tutta la banchina, girato attorno all’acquario e alla biosfera [che nel frattempo immaginavamo come riuscire a far rotolare fin all’uscio di casa], avvistato il corpo compatto dei Magazzini, ivi dirigiamo spediti e curiosi i nostri passi. Già non c’era più tempo da perdere, perché se è tiranno al minimo momento d’entusiasmo, figuratevi come fugge allor che le vele spiegate v’attendono per un rientro stabilito!
Simpaticissimo, non c’è che dire, l’omino nasone che usma nel bicchiere. Ci siamo, la rotta è seguire questa illuminante locandina su e giù per scale mobili. Gli spazi, d’acchito, subito c’impressionano: dov’è tutto quello strettume che ti balza in mente allorchè senti dire Liguria? I Magazzini sono una piazza d’armi, luminosi e ampi e senza ressa! Che la trasformazione in dimora enologica abbia fatto accurata selezione rispetto alla spelonca dello storico camallo del cotone, sembra cosa indubbia. Vorrei sottolineare qui un primo complimento a Filippo Ronco, che va a ribadire quello offertogli in occasione del tour a Novellara: la scelta del luogo lascia anche oggi ammirati. Così lontano, certo, dalla romantica decadenza campagnola del casale emiliano, ma ugualmente entusiasmante per lo scenario di mare che si apre innanzi appena giunti ai piani superiori; tutta un’idea di efficienza, di movimento, di funzionalità è ben sottolineata dallo spazio ampio e bianco riempito di espositori, dalle vetrate immense che osservano il porto, la gente di sotto, l’orizzonte aperto…
A rapporto al banco d’ingresso: presentazione di un ticket degustazione, taschina al collo, bicchiere nella taschina, taccuino e matita nell’una mano e l’altra libera di degustare e stringere altre mani d’amicizia o nuove presentazioni.
Poiché non s’era perso tempo durante la traversata e sulla nostra nave sferragliante non ci eravamo concessi d’indulgere all’ozio, un certo studio della mappa espositiva mi aveva colpito con la presenza di un nome qui di casa in Liguria. Una sorpresa che tosto siamo andati a cogliere.

MACCARIO – DRINGENBERG: rosso, fresco e Dolceacqua.
Piccola denominazione, quella del Rossese di Dolceacqua, piccolissima. Un gioiello rubino incastonato tra le montagne rugose, increspatesi tra il mare e le terre d’intorno: l’ultimo sprazzo di Piemonte, alle spalle, il primo angolo di Francia, d’un lato. La provincia è Imperia. Una denominazione difficile, per via che non è sicuramente agevole di venir qui a coltivar piante, sia pure di scorza come quella della vite. Perché il senso è trarne un frutto che sia perfetto, per donarne al mondo un nettare che sia inebriante, ancorché, purtroppo, rarissimo. Questo, su per giù, il fatidico lavoro di Giovanna Maccarioe Goetz Dringenberg, che hanno letteralmente riportato in vita un cru di Rossese e vinificano altre parcelle con mani fatate.
ROSSESE 2013. Il vino di partenza, senza le seduzioni di un nome di vigna in etichetta che condiziona subito l’assaggio e innalza a piè pari l’aspettativa. E però… Un assaggio non indifferente, un vino già con una bell’anima generosa di sensazioni. Il calore del sorso è notevole, quasi a dispetto di quel nome, Rossese di Dolceacqua, che rimanda più a un delicato rosolio che non a un rosso di certa struttura e nerbo. La nota di spezie è una dominante universale: naso di pepe appena macinato, più nero che bianco, e palato piccante.
ROSSESE DI DOLCEACQUA LUVAIRA 2012. Cru di viti antiche, a S. Biagio della Cima. Oltre alla nota alcolica, una struttura più sostanziosa del precedente e un frutto più marcato. Al retronasale salgono le sensazioni di liquirizia e di erbe mediterranee: è precisa l’immagine di una rupe assolata, la macchia di arbusti a piccole foglie dure e profumate. Lo sfondo è di un elegante equilibrio, vestito di delicate note agrumate. Si coglie questo concetto di “cru”, all’assaggio comparato dei due bicchieri, nella diversa profondità del vino, nel ventaglio più ampio che si svela già al naso.

Questa sorpresa mi permette di sottolineare un secondo complimento al manutengolo di TerroirVino: la qualità degli espositori è assolutamente indiscussa.
Ho conosciuto il nome Maccario-Dringenberg durante una serata dedicata al Rossese, in quella forse meno pittoresca ma quantomai vitale Milano. E rileggerlo lì, sulla presentazione degli espositori genovesi, mi faceva pensare: com’è piccolo a volte il mondo, ma come sempre pieno di magie.

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VGM TOUR: Novellara, Reggio Emilia

VGM Tour, Novellara

 

Scorrere impaziente i secondi che mi separano dal timbrare il cartellino e via, come una scheggia sparata in direzione Novellara! La tappa del VGM Tour è ancora a portata di mano, impossibile mancarla!
Lo scenario è splendido… Un casale adagiato in piena campagna: vigneti, sentieri, campi smisurati tutt’intorno. L’impatto di benvenuto è stato perfetto: come essere davvero arrivato a casa Vinix. La filosofia del VGM espressa in modo lampante: pare proprio che i produttori radunati nella sala siano appena risaliti dalle loro cantine, o abbiano appena lasciato il lavoro delle proprie vigne, per fermarsi a parlare di quello che fanno, per raccontare quello che si trova dentro le loro bottiglie, che è anche un po’ quello che c’è dentro la loro testa.
La sala del raduno appare quantomai estrema. Piccola, ma abbastanza grande da contenere tutti i protagonisti e permettere agli ospiti di girovagare, curiosare e discorrere senza sentirsi costretti. Altissima: come non ci fosse limite alle idee che possono alzarsi libere da ogni persona. Muri vagamenti affrescati donano una sfumatura calda alla circostanza; vagamente scrostati e crepati, rimandano ad antiche radici, alla legge del tempo che tutti i presenti di oggi sanno essere cosa importante da rispettare. Una luce affascinante su tutto: imperfetta, certo, per degustazioni in piena regola, ma non siamo qui per questo: siamo qui per conoscere, imparare, soddisfare una sete e fisica e di curiosità.

Con la cantina ancora custode di alcune bottiglie di Ronco del Balbo, Pignolo, mi accosto in primis a Petrucco, Colli Orientali del Friuli: certo, i suoi bianchi non sono proprio da aperitivo, ma si dovrà pur partire! Il suo racconto è quantomai profondo, dalle radici che dimorano in un certo terreno, all’aria delle correnti che vorticano intorno alla collina, passando per il bosco nel mezzo e tutti i colori delle stagioni. Tocai, Sauvignon, un assaggio di Ribolla, tutti annata 2013: spettacolare la mineralità quasi sferzante e l’imponenza degli aromi che spaziano su tutto un corredo vegetale e di frutta matura. Già ben equilibrati, forse ancora leggermente aggressivi, specie il Sauvignon: danno l’appuntamento a Terroir Vino per un confronto con l’evoluzione di un mese in più sulle spalle.

Mi giro al banco segnatomi in agenda per amor di (mezza)patria e faccio la conoscenza del signor Travaglini, al secolo produttore di olio, in arte Parco dei Buoi. Provenienza: Larino, o più precisamente Le Piane di Larino, territorio disteso tra la costa di Termoli e l’entroterra molisano, già sulle colline. Un migliaio gli olivi che risiedono nella tenuta, i più giovani guardano alcuni centenari ancora vigorosi produttori di ottime olive. Gentile di Larino soprattutto, e poi le classiche cultivar del centro Italia: Moraiolo, Leccino, Frantoio. L’olio è particolarmente interessante, assaggiato sul quel pane casereccio di forma tonda, dalla fetta larga e crosta sottile e scura. Un impatto al palato piuttosto deciso, con una bella sfumatura piccante che volge poi in equilibrio bilanciato col gusto tipicamente amarognolo del frutto.

Un altro banco sorpresa. Non per le sue creature, conosciute in cordata e apprezzate per l’immediatezza e la semplicità. Bigagnoli, since 2012. Un ragazzo muscolosissimo che produce, invece, vini di una certa grazia. Siamo in piena area del Bardolino, proprio nella zona del Bardolino Classico, il che ci fa apprezzare in pieno l’umiltà di questo produttore che titola le sue etichette “since 2012”: come dire, sono l’ultimo arrivato e ho solo da imparare. Intanto, a me sembra che ne sappia un bel po’. Già bella la differenza tra il suo Rosato 2012 e il 2013 appena presentato, con tecnica di produzione differente. Interessante anche il Bardolino, sempre 2013: un vino di pronta beva, come si dice, un vino da avere lì a portata di mano quotidianamente per la tavola. Una menzione ineteressante sull’etichetta: Bardolino Classico DOC 2013 e Bardolino Classico Chiaretto 2013 hanno vinto il Concorso Internazionale Packaging alla scorsa edizione del Vinitaly! Infine, quantomai controtendenza l’uso del tappo a vite: secondo Bigagnoli, riconoscimento immediato di vini bell’e pronti da apprezzare subito al desco (e proiettati ai mercati esteri, dico io!).

E’ tutto un equilibrio sopra la follia, cantava Vasco pochi anni fa: Cascina I Carpini. L’equilibrio magistrale dei vini, prodotti in maniera assolutamente naturale, quasi selvatica, e la follia di un uomo che ha inventato da zero il proprio personaggio di viticoltore, partendo dai prati spogli su cui ha impiantato le sue viti: Barbera e Timorasso. La vetta bizzarra di questa Cascina credo sia Chiaror sul Masso, il Timorasso spumantizzato con metodo ancestrale o, forse più precisamente, metodo Carpini! Uve abbronzate dalla luna, piantate lì in un vigneto sassoso e nascosto, quasi l’angolo dimenticato dove si buttano gli attrezzi del lavoro a fine giornata. E che assaggio!, con i sentori tipici degli Champagne vintage e una freschezza poderosa. Una poesia che prosegue in ogni etichetta: Rugiada del Mattino, Brezza d’Estate. Timorasso che si fa via via più complesso, dai semplici prati, appunto, alle erbe officinali al balsamico e al minerale, fino a sfiorare i caratteri di un Riesling.

Più in là, infine, il cavaliere templare in crociata contro la standardizzazione del gusto e la burocrazia delle denominazioni: Rocche del Gatto, Fausto de Andreis. Approccio il banco affiancando un Mario Gelfi già visibilmente impegnato da tempo nella chilometrica verticale. Un’ascesa infinita per profondità di vendemmie, un percorso intenso da degustare al ritmo di tre sherpa intransigenti: Vermentino, Pigato e Spigau. Un produttore già conosciuto in Cascina Cuccagna, ma presso cui è impossibile fermarsi a bere un solo bicchiere. Le differenze pazzesche tra un’annata e l’altra sono una scoperta inesauribile e Fausto è un anfitrione tanto intrigante quanto laconico di verbo.
Sipario!