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Francia, questa sconosciuta

Francia: vini francesi, denominazioni sconosciute

Chi dice Francia dice Champagne. Bordeaux. Borgogna.

Abbiamo provato a imbarcarci alla scoperta di alcune zone nascoste all’occhio enologico superficiale, regioni e denominazioni che spesso sfuggono alla conoscenza degli stessi francesi. Sono luoghi che abbiamo sentito nominare, certamente; magari addirittura ci abbiamo trascorso una vacanza o almeno un fine settimana. Non ci avevano detto, però, che ci si facesse anche del vino! E che vino!

Possiamo definire Tesori di Francia un goloso amuse-bouche, come dicono elegantemente i transalpini, un aperitivo intrigante che aprirà sul servizio vero e proprio. Una serie di incontri di cui speriamo parlarvi quanto prima.


PRIMITIF 2018 [Domaine Giachino, Chapareillan, Savoia]

Jacquere in purezza. 10,5% alc. vol. AOP Savoie.

La famiglia Giachino conduce da generazioni i suoi 9 ettari di vigneto alle falde del monte Granier, da diversi anni con certificazioni biologica e biodinamica. I suoli su cui dimorano le viti sono il residuo di antiche morene glaciali. Il risultato di un rimescolamento abbastanza recente, in realtà: correva l’anno 1248, allorché qualcosa come 500 milioni di metri cubi di roccia e terra crollano verso valle, trascinandosi dietro cinque intere parrocchie. Quello che ne rimane è oggi un complesso caotico molto ricco, a natura prevalentemente argillo-calcarea.

Il vino ha un aspetto molto intrigante, limpido e vivo, un oro molto tenue con riflessi vintage, tendenzialmente ramati. Il naso è delicatissimo e floreale, leggiadro come l’aria di montagna in una bella giornata di sole sul prato. L’assaggio introduce l’opposto: l’espressione è salina, la freschezza è ripulente. Un po’ più che un accenno di sensazione glicerica fa il paio con certa polposità a centro bocca. Goloso e raffinato.

 

LUNE VIEILLE DE MARS [J.L. Denois, Roquetaillade, Languedoc]

Mauzac in purezza. 11,5% alc. vol. AOP Limoux Ancestrale.

Jean Louis Denois è sicuramente un professionista del vino: nel senso che ne sa tantissimo e lo ama ancora di più. Ha girato il mondo, vecchio, nuovo e nuovissimo per non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per imparare qualcosa: tecniche di coltivazione, assemblaggi, affinamenti, tirage… E su tutto, la convinzione che un passaggio dalle pratiche convenzionali al rispetto assoluto della natura fosse assolutamente necessario. 36 ettari nel sud della Francia, condotti in certificazione biologica, con pratiche biodinamiche: nessuna chimica di sintesi in vigna e la coerenza delle operazioni in cantina.

La luna calante di Marzo è il momento dell’imbottigliamento di questa assolutamente autentica Blanquette de Limoux, assoluto archetipo del metodo ancestrale: da quel momento riparte la rifermentazione che s’era arrestata coi rigori invernali e ci regalerà una effervescenza fine ma decisa. Siamo agli albori della storia dei vini frizzanti, alle fondamenta della leggenda dello Champagne.

Un calice che mi incuriosisce molto, nella sua veste pallida e mossa. I profumi sono rotondi, l’espressione è solare, la sensazione è quasi dolce, da mela gialla matura. Garbati sono i toni citrini, accompagnati da una lieve pasticceria di vaniglia. In bocca la frizzantezza è piuttosto viva e richiama sentori dolci e fruttati: ma non ci si inganni, perché l’impianto è costruito sull’ottima acidità, corroborata da una finissima sapidità. Quasi una carezza di talco sulle guance, il saluto finale e graziosissimo.

 

BLANC 2018 [Cantina di Torra, Oletta, Corsica]

Vermentinu in purezza. 12,4% alc. vol. AOP Patrimonio.

L’azienda di un giovane appassionato, Nicolas Mariotti Bindi, che vinifica la sua prima vendemmia nel 2007. Studi di legge a Parigi e poi la svolta vitivinicola che lo porta a girovagare per la Francia e la Corsica, dietro quella passione per il mondo del vino che deve fare i conti con la conoscenza di base: Beaujolais e poi Patrimonio, presso i pezzi da novanta del vino locale, come Arena, Giudicelli e Leccia.

La sua personale avventura parte attraverso la generosità di Henry Orenga de Gaffory, che gli presta 5 ettari di terra… Diventeranno gli attuali 15 col tempo, coltivati in regime biologico: Mursaglia, Porcellese, Lumiu, Coteaux de Patrimonio sono le parcelle da cui ricava i suoi vini territoriali, sopra le rocce calcaree dell’isola.

Un naso che esprime il carattere isolano: caldo, immagine di sabbia e profumi di fieno intenso. Un accenno di sensazioni tostate, vagamente fumé. L’assaggio è sapido, nettamente, e fresco, con un bel richiamo alla mente di campi al sole. Una certa morbidezza iniziale viene poi trasformata nel più classico degli amaricanti da sali minerali. L’idea di potenza, ma sottile e non scorbutica.

 

LES PEPETTES 2017 [Champ des Sœurs, Fitou, Languedoc]

Grenache, Syrah, Roussanne. 13,5% alc. vol. IGP Aude.

Marie e Laurent Maynadier rappresentano oggi la tredicesima generazione di vignaioli all’interno di un’azienda che affonda le radici nel XVII secolo. L’area è quella di Fitou, la più vecchia denominazione del Languedoc, affacciata sul mare e sugli stagni che punteggiano il territorio. Clima secco, brezze marine, rugiada sulle foglie: tutto è in equilibrio sopra il duro calcare del suolo. 15 ettari coltivati in regime di lotta integrata.

Eccolo, il vino della gita fuoriporta, la bottiglia che si dovrebbe sempre avere nel cestino da pic-nic… I profumi sono tutti quelli della battigia, col salmastro imperante e l’alga bagnata. Un naso esplosivo che rimanda direttamente al piretro e poi le note tostate e quelle fumé. Vaga idea vegetale sullo sfondo, come di cespugli che limitano la spiaggia verso l’entroterra. L’assaggio è una conferma che la bottiglia comunque non basta, che è un vino da bersi con l’unità di misura del secchio. Fresco e sapido, un tannino lievissimo, una sensazione di beva sottile e limpida, di puro succo.

 

PORC TOUT GAI 2016 [P-U-R, Villefranche s/Saone, Beaujolais]

Gamay in purezza. 12,5% alc. vol. AOP Beaujolais.

Una coppia che potrebbe uscire dalla commedia francese anni quaranta, quella formata da Cyril Alonso e Florian Looze: un cinema in cui si parla rurale, si vede e si vive la campagna, si prende la vita con leggerezza e si cerca di campare facendo quello che piace. Il vino è la missione unica di questi produttori: anzi, il vino n-a-t-u-r-a-l-e, senza artifici, senza aggiunte, sì che sia un vino vivo. La parola d’ordine della cantina è “trasparenza totale”. 12 ettari stesi in quella regione che non può fregiarsi del nome Borgogna, non è più Valle del Rodano e non c’entra nulla con Jura o Savoia… Una terra ribelle per vocazione, che resta l’ultimo baluardo del “fetente Gamay” contro l’orgoglioso Pinot Noir e il sogno monocolturale di Filippo l’Ardito. La provocazione è tangibile quando i due vignaioli ci ricordano che “la definizione legale europea di vino indica un prodotto ottenuto esclusivamente con la fermentazione alcolica, totale o parziale, di uve fresche, pressate o no, o di mosto di uve”: ogni aggiunta va a modificare questi termini.

Quanto di più lontano dall’immagine del “vin nouveau”, il novello dei francesi: Beaujolais è anche questo, un naso che dà smaccamente sullo smalto, la nota acetica è importante e richiede la pazienza dell’ossigeno. Ecco che poi i profumi arrivano e si tramutano in frutti scuri, in idea di radice e liquirizia, con un finale curioso e intrigante sulla sensazione di cenere. L’assaggio ci regala un bel sapore vinoso, super fresco e dalla bella nota salina. Le sensazioni ci fanno immaginare ancora i frutti scuri, maturi fino al disfacimento e poi note vegetali scure. Anche qui, un bel vino da portarsi in compagnia, da aprire-versare-bere e goderselo senza fisime infinite: se il pic-nic precedente era in Deux Cheveaux, qui recuperiamo dal garage il pullmino della Volkswagen e partiamo già cantando a squarciagola.

 

LA GOUYATE TENDRE 2018 [Chateau Barouillet, Pomport, Aquitaine]

Chenin Blanc, Muscadelle, Semillon. 12,0% alc. vol. Vin de France.

Scavando in archivio, Vincent Alexis riesce a risalire fino a otto generazioni precedenti e poi le nebbie avvolgono la storia del suo Chateau. Tanta terra, questi 45 ettari coltivati in regime biologico e suddivisi in 5 appezzamenti contigui ad una delle regioni viticole più famose al mondo: ma qui il rosso è Bergerac e non Bordeaux, il bianco dolce è Montbazillac e non Sauternes. Ogni parcella produce il suo vino e la cura dell’ambiente prevede l’affidarsi al calendario lunare e l’utilizzo di tisane e decotti per la cura e la prevenzione dei malanni delle viti.

Bello questo calice d’oro fuso, tenue e splendente. I profumi ci disorientano: c’è chi dice pasticceria, chi nomina il vegetale. All’improvviso la rivelazione: ortaggio, finocchio tagliato. Sì, è esattamente questo il primo impatto al naso: la freschezza della verdura cruda, con l’accenno di quella spezia caratteristica che è l’anice. Poi una sfumata sull’erba appena falciata, quindi l’ingresso del dolce, con una soave canditura da panettone, da panforte, da cassata, a celare appena una idea che rimanda l’immagine del cristallo di sale. L’assaggio è bizzarro parimenti, impossibile dirsi se caratterizzato da un aspetto in particolare… La dolcezza e la rotondità sono proprio un accenno, il gusto delle scorze d’agrume è vivo, la sapidità innegabile e finissima, la freschezza infinita. Spettacolare semplicità che permetterebbe d’accompagnare carni, formaggi e biscotti.

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Ciao Mare 3: bevute notevoli

20190913_Ciao MAre 3

Terza edizione di un evento nato assolutamente per caso e organizzato sul filo di lana. Una serata leggera, volutamente rilassata per recuperare un attimo dell’atmosfera delle vacanze appena trascorse. Chiacchiere, aneddoti sulle bevute e le scoperte vacanziere, assaggi di calici che possono rimandarci alle sabbie e all’onde. E devo considerare che gli assaggi di quest’anno mi sono piaciuti davvero tanto!

GWENNIC [Cidre François Sehedic, Bretagna, Forêt-Fouesnant]

Eccolo qui, il jolly, la sorpresa, il fuori tema. Prima o poi doveva succedere: un sidro al Sommelier Social Club! Una novità interessante e golosa. E assolutamente centrata: tutto in Bretagna parla di onde e di sale, di acqua e di vento.

Un bel colore giallo chiaro, appena appena velato. Il naso è un rimando netto ad una mela acidula spaccata in due e in sottofondo aleggia la sensazione di cantina, le note un po’ umide un po’ muffe tipiche dei Lambic, per esempio. Il sorso è abbastanza netto, centrato sull’acidità, ma con una verve leggermente morbida in buon equilibrio. Ottenuto da una singola varietà di mela – un sidro in purezza, diremmo – l’acidula Guillevic, è asciutto e profumato. La bottiglia sarà sempre troppo piccola.

DAEDALUS 2018 [Mariotti I Vini delle Sabbie, Consandolo, FE]

Per quanto lo possiamo conoscere ormai da tempo, Mirco Mariotti. ha sempre un asso nella manica da calare per sorprenderci. Ed ecco qui una delle sue ultime invenzioni: un possente chardonnay, spiazzante e impegnativo.

L’olfatto è subito rapito dai profumi dei campi, dalla paglia secca, dal fieno aromatico, da erbe officinali e foglie di salvia. Un tocco plastico e le note estive dell’ardesia dopo il temporale. La sensazione che dà alla bocca è asciugante, sapidissima all’ennesima. E insieme polposa, con una vena di fruttata allegria. Buonissimo e complesso.

CIRÒ BIANCO 2017 [Tenuta del Conte, Cirò Marina, KR]

La costa ionica della Calabria racchiude un gioiello luminoso e importante: il vigneto dell’area di Cirò Marina. Francesco Parrilla è un vignaiolo sicuramente da contare tra i protagonisti della Cirò Revolution, la voce che grida come anche negli angoli più remoti della Terra si producano vini degni di una conoscenza mondiale.

Cirò Bianco, da uve greco bianco è forse il fratello minore di un già poco conosciuto Cirò Rosso, ottenute dal localissimo gaglioppo. Ma questo calice è strepitoso. Una leggiadra nota ossidativa introduce i profumi del vino, che aprono a tutto un mondo vegetale sparso: l’erba falciata, la corteccia degli alberi, la felce. Man mano che passa il tempo varchiamo la porta d’una fumeria, i rimandi d’incenso ci inebetiscono. Ecco la Calabria: scorza d’agrume verde, bergamotto che incede agguerrito. Cera d’api, colta così al volo. Non si smetterebbe mai di annusare, ma l’assaggio è un invito che non può essere rifiutato: elegante. Un sale finissimo e persistente, una acidità sostenuta ed educatissima. Richiami di bergamotto, effluvi balsamici, rilassante aroma di tè verde. Un tocco morbido e salmastro. Assurdo.

NOSTRANU 2016 [Cantina Berritta, Dorgali, NU]

Presente anche l’anno scorso con il suo Panzale 2017, ritroviamo Francesco Berritta anche in questa edizione, con la versione d’ingresso del suo cannonau. E se il buongiorno si vede dal mattino… Giusto per dire che la vera anima sarda non è quella roba che vi raccontano nelle pubblicità.

Questo è un vino assolutamente sussurrato, niente di più precisamente agli antipodi rispetto al nome dell’uva da cui nasce. Delicatissimo e il colore e il profumo. Un romantico e aromatico incedere di succo limpido di bacche rosse, afflato nebuloso di talco. Suggerimenti tostati, polvere di caffè appena macinato. Un lampo: pastelli a cera. Soffio di profumi agrumati. Tutto è preciso, tutto ben scandito eppure nessun vociare, niente è se non udibile bisbiglìo. Assaggiarlo si deve, per avere un primo contrasto: una acidità appuntita, con richiami d’agrume. La sapidità è un po’ tenue, il tannino davvero un bellissimo fruscìo. Un assaggio magnifico.

TORRACCIA ROUGE 2014 [Domaine de Torraccia, Corsica, Porto Vecchio]

Si era in febbraio, ma le giornate d’Alsazia eran certo più che tiepide. Sicuro il sole splendeva sopra Strasburgo, quel giorno all’ingresso del Salon des Vins des Vignerons Indépendants… Ed era un calore che potevamo ritrovare alla postazione di Marc e Christian Imbert, vignaioli Corsi e d’interessanti produzioni. Si chiacchiera, si assaggia, si commenta… Ci regalano due, tre bottiglie: “per la scuola”, dicono, avendogli noi descritto la nostra organizzazione di incontri di avvicinamento al vino… Encore merci et à bientôt, Marc et Christian!  

Qui c’è tutto il senso della Corsica del vino: niellucciu, sciaccarellu, grenache, syrah. Ovvero, la tradizione italica del sangiovese e del complementare mammolo, ma raccontata con un accento diverso, e la grande storia della Francia mediterranea. Un calice di un bel color rubino, luminoso. Si presenta con delicatezza, quasi un possibile legame col cannonau appena trascorso. Gli aromi sono vegetali, freschi, imbrigliati da una nota lattica che un po’ impasta. Ma ancora, i profumi di agrumi, di pompelmo, rivitalizzano e ingolosiscono. La bocca è leggermente ruvida, con una astringenza di certa importanza: un carattere mediterraneo e rurale, fiero di esibirsi. Richiami ematici e ferrosi. Una notevole freschezza emerge a vivacizzare l’assaggio, appena il tannino molla un po’ la presa. Godibile, espressivo: e anche, forse, da attendere un altro po’.