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Coulée de Serrant: la verticale

LA VERTICALE COULÉE DE SERRANT

AOC Savennieres-Coulée de Serrant

2013 / 2012 / 2011 / 2010 / 2001 / 1997

Possiamo riscontrare fondamentalmente due tipi di annate per lo Chenin Blanc, alla Coulée: l’annata dominata dalla lucee l’annata dominata dal calore.

L’annata dominata dalla luce dà vita ad un vino molto strutturato, molto femminile, dal carattere decisamente introspettivo: 2013/ 2001.

L’annata dominata dal calore genera un vino molto estroverso, potente, di carattere mascolino: 1997/ 2012.

Le vendemmie 2011 e 2010 rappresentano una situazione equilibrata tra questi estremi.

La muffa nobile che ha attaccato per qualche giorno i grappoli delle vendemmie 2010 e 2001, si è resa responsabile di una certa ossidazione delle uve: questa caratteristica dona al vino un rilievo supplementare, alcune volte incompreso.

Al termine di ogni vendemmia si procede alla vinificazione delle rispettive selezioni, che saranno accorpate solo al termine delle fermentazioni.

Il lavoro in cantina prevede semplicemente il controllo settimanale della volatile, senza nessun altro intervento. La fermentazione prosegue per almeno 3 mesi, senza nessun controllo di temperatura: “la fermentazione è una febbre, quindi qualche giorno di temperatura sopra i 25°C non è mai un problema!

L’imbottigliamento prevede un minimo utilizzo di zolfo di origine vulcanica: del resto, lo zolfo non può essere qualcosa di nocivo, se di origine naturale e, per di più, in piccolissime dosi!


La degustazione prende avvio sui toni un po’ mistici del rispetto e del timore: certo non capita nel quotidiano di avere a che fare con sei annate di uno dei migliori vini di Francia – e di riflesso, del mondo. I calici son riempiti, gli occhi ci si abbeverano ancor prima delle labbra: non una sfumatura tende a cedere ad un qualsivoglia comun denominatore cromatico, ogni vendemmia è un colore a sé, un vino a sé. L’olfatto, poi, non può esser di nessun altro aiuto nel tentativo di uniformare: ogni vendemmia è un corredo di profumi a sé, un vino a sé. E se ne porterà avanti la differenza per tutta la serata, finché ogni bicchiere non sarà vuoto e, ancora, non avrà comunque smesso di parlare. Il palato è poi l’estremo tentativo di dar traduzione in senso tangibile ad una creazione di puro terroir: la matrice del suolo, elemento sì ravvisabile in sottotraccia attraverso i sei calici, interpretata con liriche originali da ogni annata in maniera personalissima.

2013

La via è chiusa. Il calice è muto, indifferente agli umani desideri di scoperta e godimento.

Ma quanto vivo, dopo incalcolabili rotazioni del liquido! Sotto quella calma insensibile si avverte la tensione vitale del minerale, dell’agrume, del fiore quasi di camomilla. Bocca, invece, da cannone: polposa, calda, una sensazione alcolica quasi da vermouth.

Non è un caso se le indicazioni di Nicolas Joly indicavano in 4 giorni il tempo di apertura prima della degustazione…

2012

Un approccio soave, un afflato botritizzato molto delicato con richiami intensi di iodio.

La bocca è subito avvolta dalla dolcezza, ma repentina incombe la bordata di sale e acidità: un boato di toni minerali e di calore che si affievolisce spedito e via via si fa sempre più sottile in un finissimo e interminabile allungo verso chiusure sfumate di frutta a polpa gialla.

Col tempo… la scorza d’arancia, il candito, il distillato del Cointreau. Forse anche un che di petali di rosa. Si concede certa dolcezza ulteriore nel finale.

2011

Primo acchito netto di lattico e caffè, una crema da bar.

L’assaggio è immediato e drittissimo, una lama di acidità che si sfuma eccezionalmente nel carattere tostato dei beaux amersdella polvere di caffè. Il sorso chiude su di una sorprendente sensazione di nocciola.

Col tempo… ancora, ancora sale! La mineralità estrema e quel caffè, quella nocciola spalmati in giro come tessere esplose…

2010

Il naso indugia sul calice mentre la mente richiama quell’indicazione del produttore: botrytis… Ma l’olfatto è quasi più ossidativo che muffato: da ricondursi, allora, a quella maturazione impeccabile delle uve, tanto ricercata da Joly? E’ qui il discrimine tra l’ossidazione dell’acino in vigna e l’ossidazione del vino in cantina?

Il calore del sorso si avverte soltanto alla gola, mentre la bocca è pacata, accarezzata da un alcol da meditazione, da cognac, da spiriti di uva: dolcezze da panettone in alambicco.

Col tempo… il naso si attesta al passito, con la polpa gialla in vista, ma ben amalgamata alla costante acidità. Poi, subito dopo, è ancora un’altra cosa, con termini più iodati in primo piano…

2001

Vaghe ombre di similitudine con il calice precedente, questo naso virato su tendenze ossidative, ma con un fondo già di frutta passita, di uvetta.

Lo speziato emerge, la liquirizia e l’anice, una sfumatura orticola di salsina di pomodoro. Altra carica di spezie alla bocca, con lo zafferano anzitutto e morbidezza del burro e leggera sapidità unita ad una vena secca da Marsala vecchio. Spiazza il finale un po’ corto, ma che si traduce, in realtà, con l’assottigliamento progressivo di un sorso iniziato un po’ grasso e untuoso, quasi, verso un’uscita nettamente salina.

1997

Vent’anni e non sentirli…

Naso suadente. Anice, agrume candito, spunto lattico che quasi tende al sudore.

Bocca zuccherina e pepata insieme, la sensazione stupefacente di un distillato di spezie. Il calore alcolico è compostissimo, amalgamato nella bellissima rotondità del caramello e dell’uva stramatura.

Col tempo… emerge chiara la nota di caffè, meraviglioso decoro di quella nota lattica ancora avvertibile. Infinito nella sua complessa eleganza.

 

Quanto a parlare di una classifica o anche solo di preferenze è cosa assai dura. Ogni calice cangiante nei tempi di una rotazione, non permette affatto di stabilire priorità di sorta: un attimo si decide una sequenza, ma all’assaggio successivo tutto è stravolto e ricostruito.

Ho ammirato la straordinaria e cesellatissima architettura di un 1997, inafferrabile, quanto apprezzato la ritrosia e l’introspezione di un 2013 che denota potenza dietro un portone socchiuso. Ho stimato la spacconeria da hidalgo spagnolo di un 2011, signore del caffè e delle vie del sale, quanto mi sono innamorato dell’afflato dolce ed equilibrato di un 2012, chef di pasticceria. Ho contemplato gli sprazzi infinitesimi di somiglianza di un 2010 e un 2001, legati da una molecola d’ossigeno, ma separati da galassie di dolcezze di frutta e di sapidità di spezie…


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Nicolas Joly e la Coulée de Serrant

Chemin de la Roche aux Moines, Savennières, Valle della Loira, Francia.

Un indirizzo ben presente sulla rubrica di ogni appassionato di vini francesi. Di vini in generale… di vini veri. Siamo praticamente sopra il grande fiume, poco a sud ovest di Angers, guardando verso Nantes e l’Oceano Atlantico, dove sfociano le acque e dove anche s’infrange l’ultima denominazione della Loira, il Muscadet.

Il vigneto della Coulée de Serrant è stato impiantato dai monaci Cistercensi nel corso del XII secolo [1130] ed è sempre stato coltivato come vigna: il millesimo 2013, dunque, rappresenta la 883esima vendemmia consecutiva. Il piccolo monastero, che fa ancora parte della proprietà, è stato classificato monumento storico.

Qualche centinaio di metri più in là, invece, adiacenti alle vigne si possono osservare le rovine dell’antica fortezza Roche aux Moines, che difendeva il tratto della Loira e dove il figlio di Filippo II Augusto, il futuro Luigi VIII sconfisse gli inglesi di Giovanni Senza Terra, figlio del Cuor di Leone: correva l’anno 1214…

In questi luoghi carichi di storia si possono rinvenire un po’ dappertutto le vestigia di un lontano passato celtico, romano e carolingio.

Clos de la Coulée de Serrant costituisce una denominazione controllata essa stessa, monopolio di proprietà della famiglia Nicolas Joly, estesa su una superficie di 7 ettari.

Posizionate su pendii molto ripidi dominanti la Loira, le vigne sono impiantate a Chenin Blanche hanno un’età media che varia tra i 35 e i 40 anni. Le più vecchie datano anche a 80 anni fa e forniscono il materiale per poter ottenere nuovi piedi di vite, conservatori dell’originalità del luogo. Il vigneto è coltivato a mano o con l’uso del cavallo e consente una resa di 20/25 ettolitri per ettaro, laddove sarebbe consentito arrivare a 40 hl/ha.

Il suolo è molto spesso, tra i 20 e i 40 centimetri in media e insiste sopra un fondo di scisto rosso, obliquo e quindi perfettamente drenante. L’esposizione delle piante è Sud/Sud Est.

La vendemmia – meglio sarebbe dire le vendemmie –  si effettuano in tre o fino a cinque passaggi, in un periodo dalle tre alle cinque settimane, in modo da ottenere la maturità più intensa possibile e gli acini più intaccati dalla botrytis. Le viti impiantate – fatto essenziale – non sono cloni, ma frutto di una selezione massale: la fioritura si verifica, quindi, naturalmente nell’arco di più settimane.

Secondo Joly, lo Chenin e il Riesling sono i due vitigni che si rivelano appieno se vendemmiati dopo la comparsa di muffa nobile, un elemento che non si presenta in ugual misura tutti gli anni. Maturando, gli acini passano dal verde chiaro al giallo, poi al giallo scuro e quindi si coprono di Botrytis Cinerea. Il vino che ne risulta sarà giallo oro, perfino con riflessi bruni: un colore divenuto oggigiorno raro nei vini bianchi e che non dovrà essere confuso con l’ossidazione. Il raggiungimento di questo stadio di maturità rappresenta una perdita importante di rendimento, ma al tempo stesso consente una concentrazione capace di far risaltare la mineralità del luogo, nelle sue componenti di scisto, quarzoe silex.

Soltanto una agricoltura sana, che sia biologica o biodinamica, consente di attendere una maturazione così avanzata senza rischio di compromettere il gusto delle uve. Uve con lo stesso grado di maturità, nel medesimo luogo, nel giro di una settimana producono sapori differenti: una raccolta più precoce permetterebbe di avere sensazioni improntate alla freschezza, aromi di frutta che si ottengono molto facilmente e che, quindi, non sono rappresentativi di una denominazione. La complessità si ottiene solo con una maturità piena.

La totalità del vigneto risulta in regime biodinamico dal 1984, dopo quattro anni di conversione. Nessun prodotto chimico di sintesi viene più utilizzato da quella data: acaricidi, pesticidi, diserbanti, nitrati, trattamenti sistemici… Un minimo di zolfo e di poltiglia bordolese [rame e calce] vengono utilizzati ogni anno, nella misura di 10/15 kg/ettaro all’anno: il rame, però, è limitato a 2 o 3 kg massimo, perché responsabile di un rallentamento della vita del suolo. Tutti i terreni sono inerbiti.

La vinificazione avviene in botti da 500 litri, di cui mai più del 5% rappresentato da legno nuovo. La fermentazione prosegue per svariati mesi. La produzione si attesta mediamente intorno alle 20000/25000 bottiglie annue.


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Friuli, che stoffa!

Ovvero, cosa accade quando due menti frenetiche e avvinazzate – occhio che l’espressione è qui da intendersi in accezione completamente positiva: due menti avvezze al vino, use a conoscerlo e discorrerne, solitamente dopo adeguate degustazioni – si trovano.

La passione critica e divulgativa del sommelier Mario Gelfi incontra la curiosità implicita alla sete inestinguibile di Marco Pellegrini: ne scaturisce una serata d’eccezione, che vede recitare sul palcoscenico dei protagonisti i grandi vini friulani. Marco, appassionato da tempo di questa terra ruvida e testarda, condivide l’amicizia con alcuni nativi del luogo, esperti delle strade anche meno trafficate e delle cantine tra le più nascoste. Le sue periodiche scorrazzate tra Collio e Carso, tra Colli Orientali e Grave, trovano generosa realizzazione tra le mura amiche del Sommelier Social Club: sei coppie di vini, una degustazione abbinata per cercare di raccontare i vitigni, le storie di persone e le sensazioni che i vini – notevoli, quanto sperduti e a volte introvabili – racchiudono.


I Rosati

Pinot Grigio VS Refosco

Venezia Giulia IGT Pinot Grigio 2014, Radikon

Pinot Grigio 100%, 13% alc. vol.

Il bicchiere è davvero di uno spiazzante ramato, un’intensa buccia di cipolla vagamente virato all’aranciato. Velato, una torbidezza non trafitta nemmeno controluce: il colore è vivo di suo, senza bisogno di filtri, solari o polari che siano.

Al primo naso, vaghissima sensazione acetica, ma di una intensità che volge subitamente al dolce: immediato il rimando al Tradizionale Balsamico di Modena.

Poi, il naso si tuffa nella frutta matura, nella polpa gialla quasi in marmellata, con un tocco di agrume che rimanda alla prima nota acetica.

Una acidità fenomenale inonda la bocca e lascia fisicamente il segno lungo la lingua. La sapidità fa da valida spalla e rende vigoroso il sorso. Palato diametralmente opposto al naso.

Rosè di Refosco VDT 2012, Denis Montanar

Refosco 100%, 13% alc. vol.

Da uve rosse, ma praticamente ramato, con una punta di rosa più acceso: praticamente indistinguibile dal primo, se non di profilo, quando offre una più vivida sensazione di rosso. Velato, senza dubbio.

Il naso si sofferma su una prima nota di fermentativo, con un tocco di vegetale. L’idea successiva è di una certa terziarizzazione, portata da esalazioni chimiche di colla e smalto. Una vena che permane, traversando una corrente di dolcezza.

La bocca si rivela più sapida che acida, adornata da una veste di certa morbidezza: il gusto ha un aspetto decisamente più dolce rispetto all’olfatto. Il tannino è una sensazione leggera sulle gengive e saporita. Una vena acida a centro bocca chiude il finale.


I Bianchi

Ribolla VS Friulano

Venezia Giulia IGT Ribolla Gialla 2012, Dario Princic

Ribolla Gialla 100%, 13,5% alc. vol.

Il colore è quello dell’albicocca, quasi un bicchiere da passito di Pantelleria! Per forza di cose, gli anglosassoni devono inventarsi il termine “orange wine”: più immediato, ma meno profondo del nostro “vini macerati”.

Attimo di riduzione, al primo contatto: aria, aria, aria! Nota salmastra piuttosto evidente, insieme ad una dolcezza fruttata da polpa gialla. Nota speziata, pepato pungente.

Il primo impatto alla bocca è tannico. La nota di frutta secca, di noce, introduce poi alla sensazione ossidativa di fondo, costruita dai 35 giorni di macerazione in botti scolme. La successiva nota acida è notevole, aperta verso un finale sapido e lungo.

Collio DOC Friulano 2009, La Castellada

Friulano 100%, 14% alc. vol.

Giallo dorato sparato, limpido e cristallino. Davvero solare.

Primo naso tutto sparato su di una mineralità quasi sfacciata, sulla sapidità propria dei frutti di mare. Nota floreale di campo, fiori gialli selvatici.

Alla bocca, vero e proprio assalto di una debordante sapidità, che vira immediatamente all’amaro: erbe amare, da infuso alcolico, caramella di rabarbaro. Gli estremi arrivano a toccarsi, nel virare di questo amaro salino in sentore di caramello, di zucchero bruciato.

Muscolare, ppotente: una polveriera con la miccia accesa!


I Rossi

Schioppettino VS Pignolo

Colli Orientali del Friuli DOC Sacrisassi Rosso 2010, Le Due Terre

Schioppettino 60% Refosco 40%, 13% alc. vol.

Cuore fondo di sangue, impenetrabile con un’unghia porpora.

Il naso è piuttosto ritroso. Emerge una certa sensazione di dolcezza da frutto rosso maturo: ciliegia, fragola addirittura. Speziatura da pepe nero.

Il sorso si caratterizza di calore e nota etilica. Rotondità e morbidezza dalla lunga sosta in legno piccolo, con bella espressione di infuso di erbe amare.

L’intensa stoccata iniziale non sembra supportata dalla persistenza e il finale è un po’ corto.

Colli Orientali del Friuli DOC Pignolo 2011, Ronchi di Cialla

Pignolo 100%, 14% alc. vol.

Colore profondo, impenetrabile, con riflessi rubino.

Dai produttori che hanno recuperato il vitigno, andando a spulciare negli orti le piante una ad una, un Pignolo davvero giovane ed espressivamente riottoso.

Il naso rimanda alla cantina, all’ambiente chiuso, alle muffe dei muri. Un bicchiere che rimane fermo sulle sue decisioni iniziali per tutta la durata della degustazione.

L’impatto al palato è ruvido: un tannino che friziona ai lati della bocca, e sensazioni aromatiche che latitano.


Fuori Concorso

Merlot 2009, Paraschos

Merlot 100%, 13,5% alc. vol.

Un rubino intenso molto concentrato, impenetrabile.

Naso, di primo acchito subito salmastro: acqua di sentina, gusci di cozze. Successiva nota dolce a ricordo di frutti rossi.

Una bocca davvero fine, scorrevole e calda, su note accennate di spezzatura e di pepato.

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La birra monovitigno

Italia, terra di eterni dualismi.

Coppi o Bartali, Rivera o Mazzola, il mare o la montagna, la colomba o il panettone, il vino o la birra… Certo, quest’ultima dicotomia è di tempi assai recenti: soltanto negli ultimi vent’anni, infatti, si è sviluppato un discorso interessante intorno alla birra artigianale italiana. E però, da quel momento di strada ne è stata fatta e pure di corsa! Non sarà quindi un caso se proprio all’Italia è toccato in sorte di inventarsi un trait-d’union tra due mondi. Converrà, quindi, abbandonare l’autoctono campanilismo per far luce, piuttosto, sull’incontro tra queste due realtà e sulla trasformazione birraria che l’elemento enologico ha saputo apportare, maneggiato dalla sapienza di alcuni capaci creativi. Il matrimonio in questione è da tempo, ormai, così ricorrente nei birrifici nostrani che ha giustificato il conio del termine “Italian Style”: si tratta dello stile Italian Grape Ale, formalizzato dal Beer Judge Certification Program, l’organismo internazionale che sovrintende ai concorsi birrari e alle classificazioni.

L’uva compare in etichetta come ingrediente, risalta in maniera più o meno evidente all’assaggio. In ogni caso, rappresenta qualcosa di più di una semplice aromatizzazione: nella maggior parte dei casi, la voglia di ancorarsi al territorio, di sintetizzare e tradurre in birra la cultura enoica che il birraio stesso ha spesso e volentieri respirato fin da piccolo. Elemento questo che lo spinge ad aggiungere l’uva o il suo mosto nel tino, rendendo un gesto apparentemente inconsueto così chiaro, sensato e in molti casi appagante.

 

JADIS, Birrificio Toccalmatto [Fidenza PR]

Double Wit preparata con mosto di uve Fortana. Alc. vol. 6,5% – cl 75

Tutta l’Emilia Romagna spumeggia in questa bottiglia e il calice è rosè: davvero un gran bell’occhio, una sfumatura vivida da Champagne. Le note aromatiche sono belle evidenze della birra che sta alla base: la profumatissima Wit, con il suo agrumato di scorze d’arancia e il suo speziato di coriandolo. Una certa vena rustica indugia verso il vitigno. Che al palato si espone, rivelandosi proprio in centro bocca come una vena di grip tannico e lasciandoci una certa sensazione di masticabilità intorno ai denti. Come fanno delle belle Fortana, atte all’accompagnamento dei salumi locali.

LIMES, Birrificio Brùton [Lucca]

Strong Ale preparata con mosto di uve Vermentino. Alc. vol. 6,5% – cl 33

Il “chilometro zero” sta tutto all’interno di questa birra, ma è comunque valido: il birrificio di Lucca utilizza le uve coltivate alla Fattoria di Magliano, in provincia di Grosseto. Un affare di famiglia, insomma, che vede un imprenditore appassionato di vino trasformarsi in vitivinicultore appassionato di birra…

E’ bella, nella sua veste dorata opalescente.

E’ profumata d’estate e di sentori citrini. Sabbia calda, paglia secca. La carica acida e quasi sapida è un elemento fondante dell’assaggio, il corpo sostenuto ma in equilibrio perfetto con una certa facilità di beva.

TIBIR, Birrificio Montegioco [Montegioco AL]

Strong Ale preparata con mosto di uve Timorasso. Alc. vol. 8% – cl 75

Anche qui, il gioco degli autoctoni assume una carica particolare. Il birrificio della provincia di Alessandria utilizza IL vitigno della provincia di Alessandria, l’uva regina dei Colli Tortonesi. Il Timorasso è risorto e tornato in auge grazie all’opera instancabile di alcuni magistrali viticultori e Walter Massa, uno su tutti, amico di Riccardo Franzosi, collabora con il birraio nelle sue pazze e creative idee birrarie.

Tibir è davvero potente. Si presenta con un attacco selvatico degno di un vitigno rampante e antico: sentori di scuderia, tra sella, crine, paglia bagnata, ci risvegliano i sensi, seguiti dal terziario che arriva fino all’idrocarburo. Poi il vegetale del campo: fiori gialli, sterpaglia. E che bocca! Una frizzantezza finissima, una crema che fodera le guance e che dà calore. L’uva, con la sua carica di terziari tipici è subito lì ad alzare la mano e dire “presente!”.

IBRIGA, Birrificio Oltrepo’ [Valverde PV]

Birra chiara preparata con mosto di uve Pinot Nero. Alc. vol. 10% – cl 75

Quanto ci sarebbe da star qui a disquisire sul vitigno, sui vini e sulla storia che si trascinano dietro?… Ma qui è una birra, non il Pinot Noir. Una birra recuperata in extremis, tra l’altro; una sostituzione in zona cesarini [non è un copyright, Toccalmatto, vero?] con l’indisponibile BeerBera di Loverier. La ragazza pare se la sia cavata egregiamente, figurando addirittura come la preferita, sul taccuino di un partecipante alla serata.

Era decisamente etilico, il bicchiere, già al naso. Pungente, affilato. L’assaggio dava rilievo a questa caratteristica alcolicità, proprio in centro palato, e ad un calore potente, circondati da una morbidezza sorprendente e dolce. Molti ne hanno colto una seria somiglianza ad una generica birra d’abbazia belga: il calore, il corpo, l’alcol, la dolcezza maltata. E più in là, sicuramente la dolcezza dell’uva. C’era, probabilmente, lì sotto, il carattere del frutto rosso e del sottobosco che il Pinot Nero si porta a corredo.

Una bella scoperta.

BB10, Birrificio Barley [Maracalagonis CA]

Imperial Stout preparata con sapa di uve Cannonau. Alc. vol. 10% – cl 75

La sapa è un prodotto tipico delle feste natalizie, preparata a partire dal mosto di vino.
Il Cannonau è un frutto tipico delle vigne sarde, instancabile viaggiatore della mediterranea costa europea.

Eppure, la BB10 manifesta più di tutte le altre etichette il suo essere birra. L’impronta Imperial Stout alla base sembrava inconfondibile, con il corredo di aromi tostati, cioccolatosi prima che caffettosi e caramellati. Sulla ricchezza di questa prima soglia, si innesta poi l’abbondanza delle sensazioni polpose dell’uva matura, della dolcezza di un mosto che va concentrandosi e aromatizzandosi con le scorze d’arancia. Il calore giova ad un bicchiere complesso, sicuramente il più articolato della serata. In un crescendo di effluvi dai toni scuri, morbidi e caldi che vanno a costituire un unicum, piuttosto che a definire una spartizione “questa è la parte di birra/ questa è la parte di vino”.

EQUILIBRISTA, Birra del Borgo [Borgorose RI]

Saison preparata con mosto di uve Sangiovese. Alc. vol. 10,9% – cl 75

Qui il discorso si fa seriamente complicato.

Il mosto di una birra fermentato insieme al mosto di un vino e poi il tutto preparato come uno Champagne… E la confezione? Eccelsa: astuccio di cartone nero, con logo serigrafato in oro.

La birra di base è la Duchessa, una Saison prodotta con farro di Garfagnana. La parte enologica è niente po’ po’ di meno che mosto di uve Sangiovese della Tenuta di Bibbiano, ovverosia un Chianti Classico da una delle cantine di maggior pregio… E poi, via alle danze con liquer de tirage, remuage, degorgement, liquer d’expedition, per ballare fino a tarda ora il valzer soave del metodo champenoise. Indubbiamente, dal colore scarno e languido, fino al palato, acido e fruttato, la birra più vino di tutta la serata. Un Sangiovese di frizzante cremosità, con sentori di bacca e di minerale.

Facciamo un esperimento? Signori Tommaso e Federico Marrocchesi Marzi, portatevi in cantina un fusto di mosto di Duchessa e inventatevi un nuovo modo di interpretare la Docg Chianti Classico… Che bomba!

MOSCATA, Birrificio Birranova [Triggianello BA]

Barley Wine preparata con mosto di uve Moscato. Alc. vol. 9% – cl 33

Dulcis in fundo, calza a pennello dire.

Quante volte avremo sentito dire che la birra “é troppo amara”, da chi non ne beve? Avrebbero dovuto iniziare con questa! La Moscata è davvero un nettare, il Moscato col pandoro, con i dolcetti da forno. E’ ricca già dal colore, un dorato carico e velato, impenetrabile. E’ ricco il naso, di sensazioni zuccherose, di uva matura. La bocca, infine, è un’esplosione di corposità dolce, da manciata di marshmellows. Il vitigno aromatico fa una birra aromatica: spettacolare consequenzialità.