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TERROIRVINO 2014: la Verticale Bianca

 

DETTORI ROMANGIA IGT

Ladies and gentlemen, from Sorso & Sennori, Golfo Asinara: Alessandro Dettori!
Applausi, applausi, applausi. Un viso proprio da ragazzo, Alessandro, con quella testa di riccioli che richiama un po’ tempi vintage: l’epoca di Battisti e delle motociclette cromate. Chissà che polvere, a correre per gli sterrati lungo la costa, col sole che picchia negli occhi al tramonto!
La provincia è Sassari, in quella parte di terra stesa tra Castel Sardo e Porto Torres. L’orizzonte è puntato verso Genova, di là dal mare e non verso la Corsica, come il resto della costa. In realtà, ovviamente, la frastagliata linea corsa è subito lì e bisogna allungare lo sguardo con un certo effetto per voler avvistare la Lanterna e il Porto Antico… Ma è comunque bella questa dichiarazione d’affetto di Alessandro: il Vermentino, una faccia una razza.
Romangia“, ovverosia “terre romanizzate”. Un’indicazione quasi banale in Italia: quale terra non è stata romanizzata, sotto l’impero? E però, che declinazione esotica quel “romangia”, quale elegante e profonda eredità riesce a racchiudere e a trasmettere. I Romani organizzarono queste lande partendo da Porto Torres. Sorso e Sennori sono oggi i due comuni della regione storica di Romangia: Sorsoa valle, più presso il mare; Sennori in collina, guardiano dall’alto. Qui sopra, a trecento metri sul livello di un mare distante poco più di quattro chilometri, il sole si riflette sulle rocce bianche di calcare. E’ caldo d’estate: la temperatura dei raggi è amplificata dal biancore, la luce è calore. Più giù, verso la costa, il terreno è sabbioso: le viti stanno come in spiaggia, con le radici come piedi che scavano la battigia. Sono alberi queste viti, in senso stretto. La tradizionale coltivazione ad alberello è ancora dominante, anche se… Costava poco, un tempo, quando erano solo le mani; costa molto oggi che le mani scarseggiano e impazza la meccanica.
A dirlo, sembra grande questa Romangia, con i suoi milleduecento ettari. É la seconda zona vitivinicola della Sardegna, dopo Alghero. Sembra grande e sicuramente è una delle zone meno conosciute in Italia. Nasce sul finire degli anni ’50 la cooperativa “Sorso e Sennori”, per tramontare poco dopo, nel corso dei ’60: troppa la vicinanza a Sassari, la seconda città della Sardegna, che assorbiva tutta la produzione dei vignaioli della zona e se ne beveva tutto il vino. Per fortuna è un sacco di tempo fa e oggi, qui intorno al tavolo delle Degustazioni Dal Basso, ce n’è anche per noi!
Sottolinea bene Alessandro, ma senza enfasi maniacale da protagonismo hollywoodiano, che non esiste chimica di sintesi nella sua cantina. La solforosa non vi trova alloggio nè alleati, innanzitutto per una ragione filologica. La vinificazione avviene col lavoro di lieviti indigeni lasciati assolutamente allo stato brado: SO2 tende, per sua natura, a svolgere un’azione di selezione dei lieviti, dal che si produrrebbe un controsenso. Tutto molto semplice nel racconto di Alessandro, che va via rapido, come se questa magia del fare il vino fosse una cosa troppo normale per doverci spendere un sacco di parole tecniche: vinificazione in vasche di cemento, macerazione tra i due e i sei giorni, successiva svinatura; il mosto continua a fermentare in altre vasche e si travasa per due o tre volte. Stop. Bottiglia. Godimento!

Dettori Bianco Romangia Igt 2002
Una vendemmia piovosa porta in dote un tannino, tra buccia e vinaccioli, troppo amaro. Inizialmente il vino era davvero molto cattivo, ci racconta Alessandro. La vendemmia ha comunque dovuto procedere perché si era già ai primi di Ottobre e aspettare il sole avrebbe solo voluto dire far maturare l’uva per disidratazione. Il che non è gran cosa: gli zuccheri si concentrano a causa dell’evaporazione dell’acqua del frutto e non come nutrimento che arriva dalla pianta agli acini. L’attenzione che Dettori rivolge alla vita vegetale in senso ampio è davvero una filosofia esistenziale.
Il bicchiere punge con l’attacco salino e offre poi un accenno di miele. Si gioca tutto su queste sensazioni, con il sale su un fondo di dolcezza: il palcoscenico è proprio della sapidità, che pulsa sulle gengive e sul palato.
Che spettacolo: un sorso molto pieno, ma molto tagliente!

Dettori Bianco Romangia Igt 2004
Una classicissima annata sarda dove tutto avviene in maniera molto semplice (!).
La sapidità è la protagonista, dietro una cornice croccante che ricorda il biscotto e arriva addirittura alla vinaccia e al distillato.
Ottimo.

Dettori Bianco Romangia Igt 2005
La vendemmia con cui si spegne il frigorifero in cantina: anche i bianchi vanno prodotti senza il controllo delle temperature! Una motivazione logistica esiste: la precedente cantina era fuori terra e soffriva quindi di caldo eccessivo durante le estati sarde. Nella nuova cantina sotterranea, generalmente il mosto non supera i 24/25 gradi.
L’annata, invece, è stata davvero tropicale e le viti hanno patito più caldo del dovuto.
Il naso si presenta con un accenno vago di agrume e parlotta di composta di mela cotogna. Si ritrova nel bicchiere quell’andamento climatico: sfondo di frutta tropicale inserito in una cornice di distillato. Arriva poi, nel retronasale, la sensazione precisa della polvere di tè. Pieno, sapido, ma un po’ corto, come si svuotasse subito.
Buonissimo.

Dettori Bianco Romangia Igt 2006
Monumentale: una jeroboam che sembra uscita da antichi sotterranei oscuri.
E i tempi di cui necessitava prima del servizio, indubbiamente, dovevano essere lenti e più rispettosi. La trasferta ha troppo scosso il vino, che appare assolutamente torbido, quasi opaco. Al naso, certa nota ossidativa che si ripresenta alla bocca. Invocava una lunga decantazione.
Peccato.

Dettori Bianco Romangia Igt 2009
Un bicchiere che si presenta come un gemellaggio ligure con un impatto di basilico. Poi, il tè freddo. La carica alcolica si indovina assolutamente impressionante, la struttura molto carica. Al palato incuriosisce quella sensazione di frizzante… “Questo vino è stato imbottigliato a Marzo. Ho cercato di fare lo scienziato e l’ho pagata!”, ci spiega Dettori. Le fasi di vinificazione, tradizionalmente prevedono un travaso all’aria, in modo da permettere all’anidride carbonica di liberarsi completamente. L’imbottigliamento a Marzo ha accorciato i tempi e la CO2 è rimasta in parte nella bottiglia. In molti lamentavano una “rifermentazione in bottiglia”!
Sensazioni curiose e sentori terragni per un vino molto interessante.

Dettori Bianco Romangia Igt 2012
Una vendemmia che ha avuto bisogno di dodici giorni di macerazione perché il mosto, continuamente, rimaneva leggero agli assaggi.
Presenta quasi un naso da passito! Albicocca, frutta gialla matura.
E, a sostenere l’arco, quella usuale sapidità eccelsa che ti permette di dire “No, non è un vino da dessert: è una meraviglia!”.

Stupisce, sulla tovaglia candida della saletta fronte mare, la sfumatura dei bicchieri colmi. Il giallo brillante, la sabbia, l’arancione più o meno limpido… Vermentino e nient’altro e nient’altro che anni diversi, dentro quei calici. Ovviamente diversi, come ogni vendemmia dall’altra.
Fuori dall’ordinario, si deve dire di questo Alessandro Dettori. Una scoperta imprescindibile.

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TERROIRVINO 2014: La Basia e Guccione

VGM Tour, Novellara

 

AZIENDA AGRICOLA LA BASIA

La curiosità prima, devo ammetterlo, l’idea con cui partire all’esplorazione del TerroirVino. Già un appuntamento mancato mi aveva alzato il volume del desiderio di provare questi vini.
Così, veleggio innanzitutto verso le onde del Garda bresciano, ancora terra di Lombardia, giusto per darci un vago miraggio del mare che ci manca. Puegnago non è un nome che si fa ricordare facilmente. É pure un po’ complicato da pronunciare, mi fa scivolar via la lingua su tutto il palato.
Come invece sono precisi i vini che vi si fanno, gusti che si ricordano e a cui si vorrà di certo tornare.
Conosco a questo banco Giacomo, uno dei motori che fanno girare l’azienda. Un piacevole incontro con una persona appassionata, tecnica quanto basta e quanto serve, entusiasta di raccontare. Come amo questo modo di descrivere la propria realtà! Senza prevaricare le altre idee, senza dover sbandierare per forza una superiorità unicamente a fini commerciali, ma semplicemente con la voglia di parlare per far scoprire. Indubbiamente è stata una bella scoperta.

CHIARETTO LA MOGLIE UBRIACA 2013
Fa strano, a me personalmente e non so a chi altri, leggere quest’annata sulle etichette: perchè mi sembra solo ieri e, invece, c’è già bell’e pronto un vino! Strano mi sembra pure che delle uve così notoriamente intense e di colore e di struttura riescano a dare un brillantissimo bicchiere come questo. 60% Groppello e poi un 40% di Barbera, Sangiovese, Marzemino per una sfumatura luminosissima di rosa. Qui, nel 2013, è proprio divertente sentire una brezza marina che spira attraverso la pineta e porta una scorta di aromi balsamici. Tutto è molto lieve, certo, delicato ma proprio ben equilibrato, messo lì a puntino. Il sapido dei terreni, la nota accennato dell’eucalipto, il fruttino rosso molto croccante… Bello e buono!

CHIARETTO LA MOGLIE UBRIACA 2012
Più che un cronologico passo indietro è un cronologico gradino in basso: proprio nel senso che si scende più in profondità. Il fruttino è più maturo, il sorso è più rotondo. La sapidità di base resta sempre presente ed elegante, con un tono più rosso: ciliegia piuttosto che ribes. Il naso segue questo andamento più adulto e non è più la brezza tra gli alberi, quanto l’aria più calma del lago, con profumi più concentrati e già invitanti al desco più che all’aperitivo.

GROPPELLO LA BOTTE PIENA 2012
Intanto, da collegarsi alla precedente etichetta, chapeau a quest’intuizione proverbiale: come potrete mai separare i due vini in questione, nella vostra cantina?
Siamo qui di fronte a questo emblema della zona lombarda del Benaco: ma quanto mai sconosciuto! Credo proprio sia uno di quei vitigni, il signor Groppello, da conoscersi nel bicchiere prim’ancora che sui testi e sulle guide. Perchè non ti viene di andare a cercarlo, di fianco a nomi blasonati e un po’ gridati, in giro per l’Italia; il che sarebbe proprio un bell’errore, perchè ha un suo caratterino particolarissimo e invitante.
Qui abbiamo cinque giorni di macerazione, contro le poche ore del Chiaretto, e una composizione così elaborata: Groppello 85%, Barbera, Sangiovese e Marzemino 15%. Il che permette, racconta Giacomo, di preservare tutta quella bella carica aromatica del Groppello, ma di contenerlo un pochino nella sua esuberanza, specie tannica, attraverso quegli altri vitigni più adulti. Una verve briosa di pepe e di spezie fresche. Sia al naso che al palato offre le note amare del cacao e in bocca un certo tannino asciugante che si presta bene al piatto di lago in guazzetto.

GROPPELLO LA BOTTE PIENA 2011
Scenario diverso, con un attore che rimane in palcoscenico: il pepe. Ma la spezia è più ovattata, più lieve il suo sentore, avvolta come in un panno leggero di velluto. Il tannino è più morbido ed equilibrato. Ha un che di mediterraneo, questo vino, quasi a tornare deciso sul paragone tra il mare e il Garda: una bella sensazione di calore e una nota evidente di succo di frutto scuro, un sapore concentrato.

ROSSO SUPERIORE ESTATE DI S. MARTINO 2007
Che bel color granato, inclinando questo bicchiere! Direi che tendiamo proprio alla serietà, ormai! Dentro questo nuovo assaggio abbiamo questa nuova composizione: Groppello 50%, Barbera, Sangiovese e Marzemino 50%. L’insieme di uve classico della Valtenesi per produrre un rosso con tanto di passaggio in botte. Molto interessante, perché esprime un insieme di aromi ampio e bilanciatissimo. Il frutto è ormai maturo, rosso scuro o viola: la prugna, la mora; c’è ancora, sempre presente, la spezia, che si fa piuttosto potente: il pepe si fonde alle erbe officinali, in un bel girdino assolato. L’assaggio ha come sfondo una bellissima dolcezza da agrume maturo, l’arancia rossa. Considerando che fuori delle vetrate c’è davvero il mare, mi lascio trasportare col pensiero fino al mediterraneo francese per ritrovarne un’idea in questo vino un po’ di collina, un po’ di lago.

PREDEFITTE 2008
Approdiamo, infine, alla rarità piuttosto particolare. Un vino composto da un incrocio inconsueto: il Merlote il Teroldego che vanno a dare vita, nel corso degli anni ’30, al Rebo. Un vitigno assolutamente locale e di interessante approccio. Una struttura più importante rispetto al Groppello, una polpa molto ricca e tannini dolci. Quest’ultima sensazione è inequivocabile nel bicchiere, una nota come di spolverata di zucchero a velo emerge tonica al naso. Le lunghe macerazioni, sull’ordine dei quindici, venti giorni, ne fanno un vino più fondo al colore, più intenso al palato. Leggera la speziatura che, comunque, emerge insieme al sentore agrumato: il dolce della polpa e l’amaro della scorza che si fonde ad una profonda vena ferrosa, una punta ematica di ruggine. Sul finire, il cacao.


FRANCESCO GUCCIONE

Mi sposto poi rapido attraverso tutta l’Italia. Con una specifica richiesta sulle spalle e mosso, sempre e comunque, da non poca curiosità, approdo sulle rive di Francesco Guccione, mastro di vigna e di cantina in quel triangolo assolato che è la Sicilia.
Ripropongo qui i rapidi cenni del mio taccuino: era, purtroppo, già tarda l’ora e la chiacchierata si è dovuta rimandare. Testimoni, però, di essermi presentato al banco. E gli assaggi sono stati strepitosi! Gli alcol, nella media rimangono piuttosto bassi, sui 12.5/13 gradi: sono tutta struttura ed estratto quelli che fanno il vino.

TREBBIANO T 2012
Praticamente un Trebbiano autoctono, testimoniato in contrada Cerasa fin dal 1400.
Morbidissimo e quasi vagamente zuccherino nel finale: mi aspettavo un pugno roccioso e assaggio invece un petalo delicato.

CATARRATTO C 2012
Naso con pronunciata anima minerale. Bocca di fiore giallo, sabbia calda. Retronasale di scorza di agrume amaro. Praticamente un omaggio all’isola che lo produce!

ROSSO DI CERASA B 2012
Nerello Mascalesee Perricone: uno strano connubio che assume una veste tutta tradizionale in famiglia Guccione.
Un naso quasi vanigliato, morbido, di tendenza aerea; ricorda le piante giovani, le foglie e i rami flessuosi. Come fosse stato vinificato all’aria fresca di montagna, all’aperto. Si fonde molto bene la nota di dolcezza dell’arancia rossa insieme alla verve della sua scorza. E in fondo, all’antipode di quell’aria respirata in partenza, si rimettono i piedi a terra per trovare il frutto bruno, la radice, la terra, appena un accenno di liquirizia.

PERRICONE P 2012
Naso smaccato di arancia sanguinella. Tannino piuttosto pronunciato, ma sempre equilibrato. Una assoluta idea di maturità, in questo ragazzino di soli due anni!

NERELLO MASCALESE NM 2012
Un naso tutto sfumato di scarlatto e smeraldo. Frutto rosso e una nota vegetale appena accennata, di foglia verde. L’agrume qui si fa più dolce e lascia immaginare il mandarino. Un grip da frenata secca sull’asfalto nuovo, invece, alla bocca: pronto per piatti estremamente succulenti, con un tannino davvero deciso ma straordinariamente non invasivo, che sembra anzi quasi dolce di zucchero caramellato.

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TERROIRVINO 2014: Genova, Porto Antico

Terroirvino

 

I Pirati approdano a Genova.
Forti della loro maglietta nera VGM che li corazza contro la pioggia e dà quel senso di appartenere ad una ciurma più grande, scendono non direi proprio a rotta di collo, giù da Piazza Principe al Porto Antico. Seguendo i cartelli stradali, in realtà, ché la bussola non è proprio tarata su questa nuova latitudine enologica. Genova sotto il cielo grigio e un po’ lacrimoso è comunque calda: un po’ cupa, come un quieto rimbombo, un pulsare lento che ti segue dappresso.
Porto Antico non è mica la piazzetta davanti al bar! E i Magazzini del Cotone? Subito a chiedere, lì a quel bugigattolo nel mezzo della spianata, che un’idea maligna e arrogante ci aveva subito fatto pensare abbandonato. Invece, lo sapete come sanno essere gentili questi liguri capitali col turista che domanda? Forse sì, la signorina info point non poteva dedurre trattavasi di Pirati: altro ne sarebbe sortito, un fuggi fuggi, tutto un allarme, un al fuoco!, all’assassino! Ma noi siamo gente sorridente.
Tant’è che, percorsa tutta la banchina, girato attorno all’acquario e alla biosfera [che nel frattempo immaginavamo come riuscire a far rotolare fin all’uscio di casa], avvistato il corpo compatto dei Magazzini, ivi dirigiamo spediti e curiosi i nostri passi. Già non c’era più tempo da perdere, perché se è tiranno al minimo momento d’entusiasmo, figuratevi come fugge allor che le vele spiegate v’attendono per un rientro stabilito!
Simpaticissimo, non c’è che dire, l’omino nasone che usma nel bicchiere. Ci siamo, la rotta è seguire questa illuminante locandina su e giù per scale mobili. Gli spazi, d’acchito, subito c’impressionano: dov’è tutto quello strettume che ti balza in mente allorchè senti dire Liguria? I Magazzini sono una piazza d’armi, luminosi e ampi e senza ressa! Che la trasformazione in dimora enologica abbia fatto accurata selezione rispetto alla spelonca dello storico camallo del cotone, sembra cosa indubbia. Vorrei sottolineare qui un primo complimento a Filippo Ronco, che va a ribadire quello offertogli in occasione del tour a Novellara: la scelta del luogo lascia anche oggi ammirati. Così lontano, certo, dalla romantica decadenza campagnola del casale emiliano, ma ugualmente entusiasmante per lo scenario di mare che si apre innanzi appena giunti ai piani superiori; tutta un’idea di efficienza, di movimento, di funzionalità è ben sottolineata dallo spazio ampio e bianco riempito di espositori, dalle vetrate immense che osservano il porto, la gente di sotto, l’orizzonte aperto…
A rapporto al banco d’ingresso: presentazione di un ticket degustazione, taschina al collo, bicchiere nella taschina, taccuino e matita nell’una mano e l’altra libera di degustare e stringere altre mani d’amicizia o nuove presentazioni.
Poiché non s’era perso tempo durante la traversata e sulla nostra nave sferragliante non ci eravamo concessi d’indulgere all’ozio, un certo studio della mappa espositiva mi aveva colpito con la presenza di un nome qui di casa in Liguria. Una sorpresa che tosto siamo andati a cogliere.

MACCARIO – DRINGENBERG: rosso, fresco e Dolceacqua.
Piccola denominazione, quella del Rossese di Dolceacqua, piccolissima. Un gioiello rubino incastonato tra le montagne rugose, increspatesi tra il mare e le terre d’intorno: l’ultimo sprazzo di Piemonte, alle spalle, il primo angolo di Francia, d’un lato. La provincia è Imperia. Una denominazione difficile, per via che non è sicuramente agevole di venir qui a coltivar piante, sia pure di scorza come quella della vite. Perché il senso è trarne un frutto che sia perfetto, per donarne al mondo un nettare che sia inebriante, ancorché, purtroppo, rarissimo. Questo, su per giù, il fatidico lavoro di Giovanna Maccarioe Goetz Dringenberg, che hanno letteralmente riportato in vita un cru di Rossese e vinificano altre parcelle con mani fatate.
ROSSESE 2013. Il vino di partenza, senza le seduzioni di un nome di vigna in etichetta che condiziona subito l’assaggio e innalza a piè pari l’aspettativa. E però… Un assaggio non indifferente, un vino già con una bell’anima generosa di sensazioni. Il calore del sorso è notevole, quasi a dispetto di quel nome, Rossese di Dolceacqua, che rimanda più a un delicato rosolio che non a un rosso di certa struttura e nerbo. La nota di spezie è una dominante universale: naso di pepe appena macinato, più nero che bianco, e palato piccante.
ROSSESE DI DOLCEACQUA LUVAIRA 2012. Cru di viti antiche, a S. Biagio della Cima. Oltre alla nota alcolica, una struttura più sostanziosa del precedente e un frutto più marcato. Al retronasale salgono le sensazioni di liquirizia e di erbe mediterranee: è precisa l’immagine di una rupe assolata, la macchia di arbusti a piccole foglie dure e profumate. Lo sfondo è di un elegante equilibrio, vestito di delicate note agrumate. Si coglie questo concetto di “cru”, all’assaggio comparato dei due bicchieri, nella diversa profondità del vino, nel ventaglio più ampio che si svela già al naso.

Questa sorpresa mi permette di sottolineare un secondo complimento al manutengolo di TerroirVino: la qualità degli espositori è assolutamente indiscussa.
Ho conosciuto il nome Maccario-Dringenberg durante una serata dedicata al Rossese, in quella forse meno pittoresca ma quantomai vitale Milano. E rileggerlo lì, sulla presentazione degli espositori genovesi, mi faceva pensare: com’è piccolo a volte il mondo, ma come sempre pieno di magie.

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VGM TOUR: Novellara, Reggio Emilia. La cena

VGM Tour, Novellara

 

Come un branco di scapestrati, chi bevendo da una bottiglia, chi infilandosi in un vicolo cieco, quasi scappiamo attraverso i campi, ché la fame punge e all’acetaia già ci aspettano da tempo.
Che bello e vivo, il trambusto che si crea all’arrivo al casale! I vignaioli con le loro casse di vini già stappati o ancora intonsi sfuggiti alla gola degli appassionati, fanno tutto un tintinnar di bottiglie per approntare le tavole alla lieta gozzoviglia.
Dalle cucine si osserva l’arrivo della brigata. Fiamme ai fornelli, sbatacchiar di stovilgie e ordini di consegne. E io me ne sto col naso in aria a respirare il tramonto profumato e meravigliato di tanta allegra e semplice bellezza del luogo.
Lungo le panche, ci disponiamo cosÏ come capita: chi ne sa e chi ne vorrebbe, chi produce e chi consuma, il manutengolo e i suoi adepti…
Che spettacolo di territorio, subito fiorisce nei piatti tanto attesi! Senza nulla togliere ai salumi che i divini porcelli della zona rendono così unici, lo gnocco fritto della signora mamma è una scala verso il Paradiso. Da santificare quei tortelli verdi, a seguire: una sfoglia consistente e leggerissima, con un cuore smeraldo di un sapore proprio di campo.
E la goccia, ovunque, del Tradizionale, certo, perché qui siamo in patria e più, in una delle fucine magistrali. Si susseguono in ordine, l’aragosta, l’argentoe l’oro: che bizzarrìa. Chissà qual mente avrà concepito la nuance dell’aragosta, da metter sul podio in fianco dei metalli più ad uso? Preziosissimo balsamo in ampolle da alchimista: un nettare appena pungente sulla lingua, denso e morbido al palato di aromi che portano fino al caramello e la liquirizia. Perché nomarlo “aceto”? Che è, personalmente, un condimento affatto piacevole e quanto mai distante dall’espressione di questo, che è Tradizionale!
Chiusura di serata con visita guidata da mastro Andrea al sancta sanctorum dell’acetaia: la stanza sottotetto ove dimorano le botti ricche dell’essenza a maturare. Dalla più ampia alla più piccola, fino poi all’ampolla, è un percorso decennale, che si carica di sentori e si mangia il legno che contiene il balsamo. Sorprendente opposizione all’andamento del vino: non la botte al primo passaggio, quella che cede con più vigore, che più fa sentire la voce, ma il legno più e più usato, caricato ormai di tutto il complesso aromatico che il Tradizionale ha accumulato e può tornare a cedergli, per i Tradizionali a venire. Che semplicità nel lavoro che si svolge quassù: vaghe collinette di legno, tutte col loro bravo fazzoletto candido di lino e un peso di sopra, a tenerlo in sede. Il caldo e il freddo, con l’estate e l’inverno, passano dalle finestre e l’umido e il secco. Sono le stagioni e non è l’uomo a guidare il racconto di come si deve fare: bisogna solo saper leggere, noialtri, e lasciare fare.
La batteria più anziana data cinquantacinque anni… Sono ben oltre il tempo massimo per sperare di impiantare qualcosa che già solo gli si avvicini!
Non ci si crede cosa succeda qui dentro. L’espressione “É solo questione di tempo” raggiunge, sotto questo tetto, il suo completo compimento definitivo.

Se l’uso ragionevole del vino vi è impossibile, l’astinenza è certamente preferibile…  In ogni caso, non erigete la vostra debolezza a principio e a dottrina, gloriandovi di ciò che altro non è, in fin dei conti, che un’infermità.Maurice Lelong
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VGM TOUR: Novellara, Reggio Emilia

VGM Tour, Novellara

 

Scorrere impaziente i secondi che mi separano dal timbrare il cartellino e via, come una scheggia sparata in direzione Novellara! La tappa del VGM Tour è ancora a portata di mano, impossibile mancarla!
Lo scenario è splendido… Un casale adagiato in piena campagna: vigneti, sentieri, campi smisurati tutt’intorno. L’impatto di benvenuto è stato perfetto: come essere davvero arrivato a casa Vinix. La filosofia del VGM espressa in modo lampante: pare proprio che i produttori radunati nella sala siano appena risaliti dalle loro cantine, o abbiano appena lasciato il lavoro delle proprie vigne, per fermarsi a parlare di quello che fanno, per raccontare quello che si trova dentro le loro bottiglie, che è anche un po’ quello che c’è dentro la loro testa.
La sala del raduno appare quantomai estrema. Piccola, ma abbastanza grande da contenere tutti i protagonisti e permettere agli ospiti di girovagare, curiosare e discorrere senza sentirsi costretti. Altissima: come non ci fosse limite alle idee che possono alzarsi libere da ogni persona. Muri vagamenti affrescati donano una sfumatura calda alla circostanza; vagamente scrostati e crepati, rimandano ad antiche radici, alla legge del tempo che tutti i presenti di oggi sanno essere cosa importante da rispettare. Una luce affascinante su tutto: imperfetta, certo, per degustazioni in piena regola, ma non siamo qui per questo: siamo qui per conoscere, imparare, soddisfare una sete e fisica e di curiosità.

Con la cantina ancora custode di alcune bottiglie di Ronco del Balbo, Pignolo, mi accosto in primis a Petrucco, Colli Orientali del Friuli: certo, i suoi bianchi non sono proprio da aperitivo, ma si dovrà pur partire! Il suo racconto è quantomai profondo, dalle radici che dimorano in un certo terreno, all’aria delle correnti che vorticano intorno alla collina, passando per il bosco nel mezzo e tutti i colori delle stagioni. Tocai, Sauvignon, un assaggio di Ribolla, tutti annata 2013: spettacolare la mineralità quasi sferzante e l’imponenza degli aromi che spaziano su tutto un corredo vegetale e di frutta matura. Già ben equilibrati, forse ancora leggermente aggressivi, specie il Sauvignon: danno l’appuntamento a Terroir Vino per un confronto con l’evoluzione di un mese in più sulle spalle.

Mi giro al banco segnatomi in agenda per amor di (mezza)patria e faccio la conoscenza del signor Travaglini, al secolo produttore di olio, in arte Parco dei Buoi. Provenienza: Larino, o più precisamente Le Piane di Larino, territorio disteso tra la costa di Termoli e l’entroterra molisano, già sulle colline. Un migliaio gli olivi che risiedono nella tenuta, i più giovani guardano alcuni centenari ancora vigorosi produttori di ottime olive. Gentile di Larino soprattutto, e poi le classiche cultivar del centro Italia: Moraiolo, Leccino, Frantoio. L’olio è particolarmente interessante, assaggiato sul quel pane casereccio di forma tonda, dalla fetta larga e crosta sottile e scura. Un impatto al palato piuttosto deciso, con una bella sfumatura piccante che volge poi in equilibrio bilanciato col gusto tipicamente amarognolo del frutto.

Un altro banco sorpresa. Non per le sue creature, conosciute in cordata e apprezzate per l’immediatezza e la semplicità. Bigagnoli, since 2012. Un ragazzo muscolosissimo che produce, invece, vini di una certa grazia. Siamo in piena area del Bardolino, proprio nella zona del Bardolino Classico, il che ci fa apprezzare in pieno l’umiltà di questo produttore che titola le sue etichette “since 2012”: come dire, sono l’ultimo arrivato e ho solo da imparare. Intanto, a me sembra che ne sappia un bel po’. Già bella la differenza tra il suo Rosato 2012 e il 2013 appena presentato, con tecnica di produzione differente. Interessante anche il Bardolino, sempre 2013: un vino di pronta beva, come si dice, un vino da avere lì a portata di mano quotidianamente per la tavola. Una menzione ineteressante sull’etichetta: Bardolino Classico DOC 2013 e Bardolino Classico Chiaretto 2013 hanno vinto il Concorso Internazionale Packaging alla scorsa edizione del Vinitaly! Infine, quantomai controtendenza l’uso del tappo a vite: secondo Bigagnoli, riconoscimento immediato di vini bell’e pronti da apprezzare subito al desco (e proiettati ai mercati esteri, dico io!).

E’ tutto un equilibrio sopra la follia, cantava Vasco pochi anni fa: Cascina I Carpini. L’equilibrio magistrale dei vini, prodotti in maniera assolutamente naturale, quasi selvatica, e la follia di un uomo che ha inventato da zero il proprio personaggio di viticoltore, partendo dai prati spogli su cui ha impiantato le sue viti: Barbera e Timorasso. La vetta bizzarra di questa Cascina credo sia Chiaror sul Masso, il Timorasso spumantizzato con metodo ancestrale o, forse più precisamente, metodo Carpini! Uve abbronzate dalla luna, piantate lì in un vigneto sassoso e nascosto, quasi l’angolo dimenticato dove si buttano gli attrezzi del lavoro a fine giornata. E che assaggio!, con i sentori tipici degli Champagne vintage e una freschezza poderosa. Una poesia che prosegue in ogni etichetta: Rugiada del Mattino, Brezza d’Estate. Timorasso che si fa via via più complesso, dai semplici prati, appunto, alle erbe officinali al balsamico e al minerale, fino a sfiorare i caratteri di un Riesling.

Più in là, infine, il cavaliere templare in crociata contro la standardizzazione del gusto e la burocrazia delle denominazioni: Rocche del Gatto, Fausto de Andreis. Approccio il banco affiancando un Mario Gelfi già visibilmente impegnato da tempo nella chilometrica verticale. Un’ascesa infinita per profondità di vendemmie, un percorso intenso da degustare al ritmo di tre sherpa intransigenti: Vermentino, Pigato e Spigau. Un produttore già conosciuto in Cascina Cuccagna, ma presso cui è impossibile fermarsi a bere un solo bicchiere. Le differenze pazzesche tra un’annata e l’altra sono una scoperta inesauribile e Fausto è un anfitrione tanto intrigante quanto laconico di verbo.
Sipario!