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VGM TOUR: Novellara, Reggio Emilia. La cena

VGM Tour, Novellara

 

Come un branco di scapestrati, chi bevendo da una bottiglia, chi infilandosi in un vicolo cieco, quasi scappiamo attraverso i campi, ché la fame punge e all’acetaia già ci aspettano da tempo.
Che bello e vivo, il trambusto che si crea all’arrivo al casale! I vignaioli con le loro casse di vini già stappati o ancora intonsi sfuggiti alla gola degli appassionati, fanno tutto un tintinnar di bottiglie per approntare le tavole alla lieta gozzoviglia.
Dalle cucine si osserva l’arrivo della brigata. Fiamme ai fornelli, sbatacchiar di stovilgie e ordini di consegne. E io me ne sto col naso in aria a respirare il tramonto profumato e meravigliato di tanta allegra e semplice bellezza del luogo.
Lungo le panche, ci disponiamo cosÏ come capita: chi ne sa e chi ne vorrebbe, chi produce e chi consuma, il manutengolo e i suoi adepti…
Che spettacolo di territorio, subito fiorisce nei piatti tanto attesi! Senza nulla togliere ai salumi che i divini porcelli della zona rendono così unici, lo gnocco fritto della signora mamma è una scala verso il Paradiso. Da santificare quei tortelli verdi, a seguire: una sfoglia consistente e leggerissima, con un cuore smeraldo di un sapore proprio di campo.
E la goccia, ovunque, del Tradizionale, certo, perché qui siamo in patria e più, in una delle fucine magistrali. Si susseguono in ordine, l’aragosta, l’argentoe l’oro: che bizzarrìa. Chissà qual mente avrà concepito la nuance dell’aragosta, da metter sul podio in fianco dei metalli più ad uso? Preziosissimo balsamo in ampolle da alchimista: un nettare appena pungente sulla lingua, denso e morbido al palato di aromi che portano fino al caramello e la liquirizia. Perché nomarlo “aceto”? Che è, personalmente, un condimento affatto piacevole e quanto mai distante dall’espressione di questo, che è Tradizionale!
Chiusura di serata con visita guidata da mastro Andrea al sancta sanctorum dell’acetaia: la stanza sottotetto ove dimorano le botti ricche dell’essenza a maturare. Dalla più ampia alla più piccola, fino poi all’ampolla, è un percorso decennale, che si carica di sentori e si mangia il legno che contiene il balsamo. Sorprendente opposizione all’andamento del vino: non la botte al primo passaggio, quella che cede con più vigore, che più fa sentire la voce, ma il legno più e più usato, caricato ormai di tutto il complesso aromatico che il Tradizionale ha accumulato e può tornare a cedergli, per i Tradizionali a venire. Che semplicità nel lavoro che si svolge quassù: vaghe collinette di legno, tutte col loro bravo fazzoletto candido di lino e un peso di sopra, a tenerlo in sede. Il caldo e il freddo, con l’estate e l’inverno, passano dalle finestre e l’umido e il secco. Sono le stagioni e non è l’uomo a guidare il racconto di come si deve fare: bisogna solo saper leggere, noialtri, e lasciare fare.
La batteria più anziana data cinquantacinque anni… Sono ben oltre il tempo massimo per sperare di impiantare qualcosa che già solo gli si avvicini!
Non ci si crede cosa succeda qui dentro. L’espressione “É solo questione di tempo” raggiunge, sotto questo tetto, il suo completo compimento definitivo.

Se l’uso ragionevole del vino vi è impossibile, l’astinenza è certamente preferibile…  In ogni caso, non erigete la vostra debolezza a principio e a dottrina, gloriandovi di ciò che altro non è, in fin dei conti, che un’infermità.Maurice Lelong
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VGM TOUR: Novellara, Reggio Emilia

VGM Tour, Novellara

 

Scorrere impaziente i secondi che mi separano dal timbrare il cartellino e via, come una scheggia sparata in direzione Novellara! La tappa del VGM Tour è ancora a portata di mano, impossibile mancarla!
Lo scenario è splendido… Un casale adagiato in piena campagna: vigneti, sentieri, campi smisurati tutt’intorno. L’impatto di benvenuto è stato perfetto: come essere davvero arrivato a casa Vinix. La filosofia del VGM espressa in modo lampante: pare proprio che i produttori radunati nella sala siano appena risaliti dalle loro cantine, o abbiano appena lasciato il lavoro delle proprie vigne, per fermarsi a parlare di quello che fanno, per raccontare quello che si trova dentro le loro bottiglie, che è anche un po’ quello che c’è dentro la loro testa.
La sala del raduno appare quantomai estrema. Piccola, ma abbastanza grande da contenere tutti i protagonisti e permettere agli ospiti di girovagare, curiosare e discorrere senza sentirsi costretti. Altissima: come non ci fosse limite alle idee che possono alzarsi libere da ogni persona. Muri vagamenti affrescati donano una sfumatura calda alla circostanza; vagamente scrostati e crepati, rimandano ad antiche radici, alla legge del tempo che tutti i presenti di oggi sanno essere cosa importante da rispettare. Una luce affascinante su tutto: imperfetta, certo, per degustazioni in piena regola, ma non siamo qui per questo: siamo qui per conoscere, imparare, soddisfare una sete e fisica e di curiosità.

Con la cantina ancora custode di alcune bottiglie di Ronco del Balbo, Pignolo, mi accosto in primis a Petrucco, Colli Orientali del Friuli: certo, i suoi bianchi non sono proprio da aperitivo, ma si dovrà pur partire! Il suo racconto è quantomai profondo, dalle radici che dimorano in un certo terreno, all’aria delle correnti che vorticano intorno alla collina, passando per il bosco nel mezzo e tutti i colori delle stagioni. Tocai, Sauvignon, un assaggio di Ribolla, tutti annata 2013: spettacolare la mineralità quasi sferzante e l’imponenza degli aromi che spaziano su tutto un corredo vegetale e di frutta matura. Già ben equilibrati, forse ancora leggermente aggressivi, specie il Sauvignon: danno l’appuntamento a Terroir Vino per un confronto con l’evoluzione di un mese in più sulle spalle.

Mi giro al banco segnatomi in agenda per amor di (mezza)patria e faccio la conoscenza del signor Travaglini, al secolo produttore di olio, in arte Parco dei Buoi. Provenienza: Larino, o più precisamente Le Piane di Larino, territorio disteso tra la costa di Termoli e l’entroterra molisano, già sulle colline. Un migliaio gli olivi che risiedono nella tenuta, i più giovani guardano alcuni centenari ancora vigorosi produttori di ottime olive. Gentile di Larino soprattutto, e poi le classiche cultivar del centro Italia: Moraiolo, Leccino, Frantoio. L’olio è particolarmente interessante, assaggiato sul quel pane casereccio di forma tonda, dalla fetta larga e crosta sottile e scura. Un impatto al palato piuttosto deciso, con una bella sfumatura piccante che volge poi in equilibrio bilanciato col gusto tipicamente amarognolo del frutto.

Un altro banco sorpresa. Non per le sue creature, conosciute in cordata e apprezzate per l’immediatezza e la semplicità. Bigagnoli, since 2012. Un ragazzo muscolosissimo che produce, invece, vini di una certa grazia. Siamo in piena area del Bardolino, proprio nella zona del Bardolino Classico, il che ci fa apprezzare in pieno l’umiltà di questo produttore che titola le sue etichette “since 2012”: come dire, sono l’ultimo arrivato e ho solo da imparare. Intanto, a me sembra che ne sappia un bel po’. Già bella la differenza tra il suo Rosato 2012 e il 2013 appena presentato, con tecnica di produzione differente. Interessante anche il Bardolino, sempre 2013: un vino di pronta beva, come si dice, un vino da avere lì a portata di mano quotidianamente per la tavola. Una menzione ineteressante sull’etichetta: Bardolino Classico DOC 2013 e Bardolino Classico Chiaretto 2013 hanno vinto il Concorso Internazionale Packaging alla scorsa edizione del Vinitaly! Infine, quantomai controtendenza l’uso del tappo a vite: secondo Bigagnoli, riconoscimento immediato di vini bell’e pronti da apprezzare subito al desco (e proiettati ai mercati esteri, dico io!).

E’ tutto un equilibrio sopra la follia, cantava Vasco pochi anni fa: Cascina I Carpini. L’equilibrio magistrale dei vini, prodotti in maniera assolutamente naturale, quasi selvatica, e la follia di un uomo che ha inventato da zero il proprio personaggio di viticoltore, partendo dai prati spogli su cui ha impiantato le sue viti: Barbera e Timorasso. La vetta bizzarra di questa Cascina credo sia Chiaror sul Masso, il Timorasso spumantizzato con metodo ancestrale o, forse più precisamente, metodo Carpini! Uve abbronzate dalla luna, piantate lì in un vigneto sassoso e nascosto, quasi l’angolo dimenticato dove si buttano gli attrezzi del lavoro a fine giornata. E che assaggio!, con i sentori tipici degli Champagne vintage e una freschezza poderosa. Una poesia che prosegue in ogni etichetta: Rugiada del Mattino, Brezza d’Estate. Timorasso che si fa via via più complesso, dai semplici prati, appunto, alle erbe officinali al balsamico e al minerale, fino a sfiorare i caratteri di un Riesling.

Più in là, infine, il cavaliere templare in crociata contro la standardizzazione del gusto e la burocrazia delle denominazioni: Rocche del Gatto, Fausto de Andreis. Approccio il banco affiancando un Mario Gelfi già visibilmente impegnato da tempo nella chilometrica verticale. Un’ascesa infinita per profondità di vendemmie, un percorso intenso da degustare al ritmo di tre sherpa intransigenti: Vermentino, Pigato e Spigau. Un produttore già conosciuto in Cascina Cuccagna, ma presso cui è impossibile fermarsi a bere un solo bicchiere. Le differenze pazzesche tra un’annata e l’altra sono una scoperta inesauribile e Fausto è un anfitrione tanto intrigante quanto laconico di verbo.
Sipario!