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TERROIRVINO 2014: Genova, Porto Antico

Terroirvino

 

I Pirati approdano a Genova.
Forti della loro maglietta nera VGM che li corazza contro la pioggia e dà quel senso di appartenere ad una ciurma più grande, scendono non direi proprio a rotta di collo, giù da Piazza Principe al Porto Antico. Seguendo i cartelli stradali, in realtà, ché la bussola non è proprio tarata su questa nuova latitudine enologica. Genova sotto il cielo grigio e un po’ lacrimoso è comunque calda: un po’ cupa, come un quieto rimbombo, un pulsare lento che ti segue dappresso.
Porto Antico non è mica la piazzetta davanti al bar! E i Magazzini del Cotone? Subito a chiedere, lì a quel bugigattolo nel mezzo della spianata, che un’idea maligna e arrogante ci aveva subito fatto pensare abbandonato. Invece, lo sapete come sanno essere gentili questi liguri capitali col turista che domanda? Forse sì, la signorina info point non poteva dedurre trattavasi di Pirati: altro ne sarebbe sortito, un fuggi fuggi, tutto un allarme, un al fuoco!, all’assassino! Ma noi siamo gente sorridente.
Tant’è che, percorsa tutta la banchina, girato attorno all’acquario e alla biosfera [che nel frattempo immaginavamo come riuscire a far rotolare fin all’uscio di casa], avvistato il corpo compatto dei Magazzini, ivi dirigiamo spediti e curiosi i nostri passi. Già non c’era più tempo da perdere, perché se è tiranno al minimo momento d’entusiasmo, figuratevi come fugge allor che le vele spiegate v’attendono per un rientro stabilito!
Simpaticissimo, non c’è che dire, l’omino nasone che usma nel bicchiere. Ci siamo, la rotta è seguire questa illuminante locandina su e giù per scale mobili. Gli spazi, d’acchito, subito c’impressionano: dov’è tutto quello strettume che ti balza in mente allorchè senti dire Liguria? I Magazzini sono una piazza d’armi, luminosi e ampi e senza ressa! Che la trasformazione in dimora enologica abbia fatto accurata selezione rispetto alla spelonca dello storico camallo del cotone, sembra cosa indubbia. Vorrei sottolineare qui un primo complimento a Filippo Ronco, che va a ribadire quello offertogli in occasione del tour a Novellara: la scelta del luogo lascia anche oggi ammirati. Così lontano, certo, dalla romantica decadenza campagnola del casale emiliano, ma ugualmente entusiasmante per lo scenario di mare che si apre innanzi appena giunti ai piani superiori; tutta un’idea di efficienza, di movimento, di funzionalità è ben sottolineata dallo spazio ampio e bianco riempito di espositori, dalle vetrate immense che osservano il porto, la gente di sotto, l’orizzonte aperto…
A rapporto al banco d’ingresso: presentazione di un ticket degustazione, taschina al collo, bicchiere nella taschina, taccuino e matita nell’una mano e l’altra libera di degustare e stringere altre mani d’amicizia o nuove presentazioni.
Poiché non s’era perso tempo durante la traversata e sulla nostra nave sferragliante non ci eravamo concessi d’indulgere all’ozio, un certo studio della mappa espositiva mi aveva colpito con la presenza di un nome qui di casa in Liguria. Una sorpresa che tosto siamo andati a cogliere.

MACCARIO – DRINGENBERG: rosso, fresco e Dolceacqua.
Piccola denominazione, quella del Rossese di Dolceacqua, piccolissima. Un gioiello rubino incastonato tra le montagne rugose, increspatesi tra il mare e le terre d’intorno: l’ultimo sprazzo di Piemonte, alle spalle, il primo angolo di Francia, d’un lato. La provincia è Imperia. Una denominazione difficile, per via che non è sicuramente agevole di venir qui a coltivar piante, sia pure di scorza come quella della vite. Perché il senso è trarne un frutto che sia perfetto, per donarne al mondo un nettare che sia inebriante, ancorché, purtroppo, rarissimo. Questo, su per giù, il fatidico lavoro di Giovanna Maccarioe Goetz Dringenberg, che hanno letteralmente riportato in vita un cru di Rossese e vinificano altre parcelle con mani fatate.
ROSSESE 2013. Il vino di partenza, senza le seduzioni di un nome di vigna in etichetta che condiziona subito l’assaggio e innalza a piè pari l’aspettativa. E però… Un assaggio non indifferente, un vino già con una bell’anima generosa di sensazioni. Il calore del sorso è notevole, quasi a dispetto di quel nome, Rossese di Dolceacqua, che rimanda più a un delicato rosolio che non a un rosso di certa struttura e nerbo. La nota di spezie è una dominante universale: naso di pepe appena macinato, più nero che bianco, e palato piccante.
ROSSESE DI DOLCEACQUA LUVAIRA 2012. Cru di viti antiche, a S. Biagio della Cima. Oltre alla nota alcolica, una struttura più sostanziosa del precedente e un frutto più marcato. Al retronasale salgono le sensazioni di liquirizia e di erbe mediterranee: è precisa l’immagine di una rupe assolata, la macchia di arbusti a piccole foglie dure e profumate. Lo sfondo è di un elegante equilibrio, vestito di delicate note agrumate. Si coglie questo concetto di “cru”, all’assaggio comparato dei due bicchieri, nella diversa profondità del vino, nel ventaglio più ampio che si svela già al naso.

Questa sorpresa mi permette di sottolineare un secondo complimento al manutengolo di TerroirVino: la qualità degli espositori è assolutamente indiscussa.
Ho conosciuto il nome Maccario-Dringenberg durante una serata dedicata al Rossese, in quella forse meno pittoresca ma quantomai vitale Milano. E rileggerlo lì, sulla presentazione degli espositori genovesi, mi faceva pensare: com’è piccolo a volte il mondo, ma come sempre pieno di magie.

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