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Coulée de Serrant: la verticale

LA VERTICALE COULÉE DE SERRANT

AOC Savennieres-Coulée de Serrant

2013 / 2012 / 2011 / 2010 / 2001 / 1997

Possiamo riscontrare fondamentalmente due tipi di annate per lo Chenin Blanc, alla Coulée: l’annata dominata dalla lucee l’annata dominata dal calore.

L’annata dominata dalla luce dà vita ad un vino molto strutturato, molto femminile, dal carattere decisamente introspettivo: 2013/ 2001.

L’annata dominata dal calore genera un vino molto estroverso, potente, di carattere mascolino: 1997/ 2012.

Le vendemmie 2011 e 2010 rappresentano una situazione equilibrata tra questi estremi.

La muffa nobile che ha attaccato per qualche giorno i grappoli delle vendemmie 2010 e 2001, si è resa responsabile di una certa ossidazione delle uve: questa caratteristica dona al vino un rilievo supplementare, alcune volte incompreso.

Al termine di ogni vendemmia si procede alla vinificazione delle rispettive selezioni, che saranno accorpate solo al termine delle fermentazioni.

Il lavoro in cantina prevede semplicemente il controllo settimanale della volatile, senza nessun altro intervento. La fermentazione prosegue per almeno 3 mesi, senza nessun controllo di temperatura: “la fermentazione è una febbre, quindi qualche giorno di temperatura sopra i 25°C non è mai un problema!

L’imbottigliamento prevede un minimo utilizzo di zolfo di origine vulcanica: del resto, lo zolfo non può essere qualcosa di nocivo, se di origine naturale e, per di più, in piccolissime dosi!


La degustazione prende avvio sui toni un po’ mistici del rispetto e del timore: certo non capita nel quotidiano di avere a che fare con sei annate di uno dei migliori vini di Francia – e di riflesso, del mondo. I calici son riempiti, gli occhi ci si abbeverano ancor prima delle labbra: non una sfumatura tende a cedere ad un qualsivoglia comun denominatore cromatico, ogni vendemmia è un colore a sé, un vino a sé. L’olfatto, poi, non può esser di nessun altro aiuto nel tentativo di uniformare: ogni vendemmia è un corredo di profumi a sé, un vino a sé. E se ne porterà avanti la differenza per tutta la serata, finché ogni bicchiere non sarà vuoto e, ancora, non avrà comunque smesso di parlare. Il palato è poi l’estremo tentativo di dar traduzione in senso tangibile ad una creazione di puro terroir: la matrice del suolo, elemento sì ravvisabile in sottotraccia attraverso i sei calici, interpretata con liriche originali da ogni annata in maniera personalissima.

2013

La via è chiusa. Il calice è muto, indifferente agli umani desideri di scoperta e godimento.

Ma quanto vivo, dopo incalcolabili rotazioni del liquido! Sotto quella calma insensibile si avverte la tensione vitale del minerale, dell’agrume, del fiore quasi di camomilla. Bocca, invece, da cannone: polposa, calda, una sensazione alcolica quasi da vermouth.

Non è un caso se le indicazioni di Nicolas Joly indicavano in 4 giorni il tempo di apertura prima della degustazione…

2012

Un approccio soave, un afflato botritizzato molto delicato con richiami intensi di iodio.

La bocca è subito avvolta dalla dolcezza, ma repentina incombe la bordata di sale e acidità: un boato di toni minerali e di calore che si affievolisce spedito e via via si fa sempre più sottile in un finissimo e interminabile allungo verso chiusure sfumate di frutta a polpa gialla.

Col tempo… la scorza d’arancia, il candito, il distillato del Cointreau. Forse anche un che di petali di rosa. Si concede certa dolcezza ulteriore nel finale.

2011

Primo acchito netto di lattico e caffè, una crema da bar.

L’assaggio è immediato e drittissimo, una lama di acidità che si sfuma eccezionalmente nel carattere tostato dei beaux amersdella polvere di caffè. Il sorso chiude su di una sorprendente sensazione di nocciola.

Col tempo… ancora, ancora sale! La mineralità estrema e quel caffè, quella nocciola spalmati in giro come tessere esplose…

2010

Il naso indugia sul calice mentre la mente richiama quell’indicazione del produttore: botrytis… Ma l’olfatto è quasi più ossidativo che muffato: da ricondursi, allora, a quella maturazione impeccabile delle uve, tanto ricercata da Joly? E’ qui il discrimine tra l’ossidazione dell’acino in vigna e l’ossidazione del vino in cantina?

Il calore del sorso si avverte soltanto alla gola, mentre la bocca è pacata, accarezzata da un alcol da meditazione, da cognac, da spiriti di uva: dolcezze da panettone in alambicco.

Col tempo… il naso si attesta al passito, con la polpa gialla in vista, ma ben amalgamata alla costante acidità. Poi, subito dopo, è ancora un’altra cosa, con termini più iodati in primo piano…

2001

Vaghe ombre di similitudine con il calice precedente, questo naso virato su tendenze ossidative, ma con un fondo già di frutta passita, di uvetta.

Lo speziato emerge, la liquirizia e l’anice, una sfumatura orticola di salsina di pomodoro. Altra carica di spezie alla bocca, con lo zafferano anzitutto e morbidezza del burro e leggera sapidità unita ad una vena secca da Marsala vecchio. Spiazza il finale un po’ corto, ma che si traduce, in realtà, con l’assottigliamento progressivo di un sorso iniziato un po’ grasso e untuoso, quasi, verso un’uscita nettamente salina.

1997

Vent’anni e non sentirli…

Naso suadente. Anice, agrume candito, spunto lattico che quasi tende al sudore.

Bocca zuccherina e pepata insieme, la sensazione stupefacente di un distillato di spezie. Il calore alcolico è compostissimo, amalgamato nella bellissima rotondità del caramello e dell’uva stramatura.

Col tempo… emerge chiara la nota di caffè, meraviglioso decoro di quella nota lattica ancora avvertibile. Infinito nella sua complessa eleganza.

 

Quanto a parlare di una classifica o anche solo di preferenze è cosa assai dura. Ogni calice cangiante nei tempi di una rotazione, non permette affatto di stabilire priorità di sorta: un attimo si decide una sequenza, ma all’assaggio successivo tutto è stravolto e ricostruito.

Ho ammirato la straordinaria e cesellatissima architettura di un 1997, inafferrabile, quanto apprezzato la ritrosia e l’introspezione di un 2013 che denota potenza dietro un portone socchiuso. Ho stimato la spacconeria da hidalgo spagnolo di un 2011, signore del caffè e delle vie del sale, quanto mi sono innamorato dell’afflato dolce ed equilibrato di un 2012, chef di pasticceria. Ho contemplato gli sprazzi infinitesimi di somiglianza di un 2010 e un 2001, legati da una molecola d’ossigeno, ma separati da galassie di dolcezze di frutta e di sapidità di spezie…


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Nicolas Joly e la Coulée de Serrant

Chemin de la Roche aux Moines, Savennières, Valle della Loira, Francia.

Un indirizzo ben presente sulla rubrica di ogni appassionato di vini francesi. Di vini in generale… di vini veri. Siamo praticamente sopra il grande fiume, poco a sud ovest di Angers, guardando verso Nantes e l’Oceano Atlantico, dove sfociano le acque e dove anche s’infrange l’ultima denominazione della Loira, il Muscadet.

Il vigneto della Coulée de Serrant è stato impiantato dai monaci Cistercensi nel corso del XII secolo [1130] ed è sempre stato coltivato come vigna: il millesimo 2013, dunque, rappresenta la 883esima vendemmia consecutiva. Il piccolo monastero, che fa ancora parte della proprietà, è stato classificato monumento storico.

Qualche centinaio di metri più in là, invece, adiacenti alle vigne si possono osservare le rovine dell’antica fortezza Roche aux Moines, che difendeva il tratto della Loira e dove il figlio di Filippo II Augusto, il futuro Luigi VIII sconfisse gli inglesi di Giovanni Senza Terra, figlio del Cuor di Leone: correva l’anno 1214…

In questi luoghi carichi di storia si possono rinvenire un po’ dappertutto le vestigia di un lontano passato celtico, romano e carolingio.

Clos de la Coulée de Serrant costituisce una denominazione controllata essa stessa, monopolio di proprietà della famiglia Nicolas Joly, estesa su una superficie di 7 ettari.

Posizionate su pendii molto ripidi dominanti la Loira, le vigne sono impiantate a Chenin Blanche hanno un’età media che varia tra i 35 e i 40 anni. Le più vecchie datano anche a 80 anni fa e forniscono il materiale per poter ottenere nuovi piedi di vite, conservatori dell’originalità del luogo. Il vigneto è coltivato a mano o con l’uso del cavallo e consente una resa di 20/25 ettolitri per ettaro, laddove sarebbe consentito arrivare a 40 hl/ha.

Il suolo è molto spesso, tra i 20 e i 40 centimetri in media e insiste sopra un fondo di scisto rosso, obliquo e quindi perfettamente drenante. L’esposizione delle piante è Sud/Sud Est.

La vendemmia – meglio sarebbe dire le vendemmie –  si effettuano in tre o fino a cinque passaggi, in un periodo dalle tre alle cinque settimane, in modo da ottenere la maturità più intensa possibile e gli acini più intaccati dalla botrytis. Le viti impiantate – fatto essenziale – non sono cloni, ma frutto di una selezione massale: la fioritura si verifica, quindi, naturalmente nell’arco di più settimane.

Secondo Joly, lo Chenin e il Riesling sono i due vitigni che si rivelano appieno se vendemmiati dopo la comparsa di muffa nobile, un elemento che non si presenta in ugual misura tutti gli anni. Maturando, gli acini passano dal verde chiaro al giallo, poi al giallo scuro e quindi si coprono di Botrytis Cinerea. Il vino che ne risulta sarà giallo oro, perfino con riflessi bruni: un colore divenuto oggigiorno raro nei vini bianchi e che non dovrà essere confuso con l’ossidazione. Il raggiungimento di questo stadio di maturità rappresenta una perdita importante di rendimento, ma al tempo stesso consente una concentrazione capace di far risaltare la mineralità del luogo, nelle sue componenti di scisto, quarzoe silex.

Soltanto una agricoltura sana, che sia biologica o biodinamica, consente di attendere una maturazione così avanzata senza rischio di compromettere il gusto delle uve. Uve con lo stesso grado di maturità, nel medesimo luogo, nel giro di una settimana producono sapori differenti: una raccolta più precoce permetterebbe di avere sensazioni improntate alla freschezza, aromi di frutta che si ottengono molto facilmente e che, quindi, non sono rappresentativi di una denominazione. La complessità si ottiene solo con una maturità piena.

La totalità del vigneto risulta in regime biodinamico dal 1984, dopo quattro anni di conversione. Nessun prodotto chimico di sintesi viene più utilizzato da quella data: acaricidi, pesticidi, diserbanti, nitrati, trattamenti sistemici… Un minimo di zolfo e di poltiglia bordolese [rame e calce] vengono utilizzati ogni anno, nella misura di 10/15 kg/ettaro all’anno: il rame, però, è limitato a 2 o 3 kg massimo, perché responsabile di un rallentamento della vita del suolo. Tutti i terreni sono inerbiti.

La vinificazione avviene in botti da 500 litri, di cui mai più del 5% rappresentato da legno nuovo. La fermentazione prosegue per svariati mesi. La produzione si attesta mediamente intorno alle 20000/25000 bottiglie annue.