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Mini-Corsi Degustazione… si riparte!

Riparte la stagione dei Mini-Corsi Degustazione al Sommelier Social Club!

Una full immersion in due serate per scoprire qualcosa di più sulle funamboliche rotazioni, gli smaglianti effetti cromatici, le ondeggianti consistenze, le vibranti sensazioni tattili… E, non ultime, le incredibili, innumerevoli e inarrivabili note aromatiche! Il tutto raccontato con la tipica irriverenza e il divertito disincanto dei due padroni di casa: arrivare al nocciolo del piacere del vino, sfatando falsi miti e assaggiando produzioni controcorrente. Un percorso da sempre pensato per chi parte da zero in conoscenza, ma già a 100 in quanto a curiosità!

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TIMORASSO 2016, Cascina I Carpini. Paolo Ghislandi, dal suo angolo nascosto nei Colli Tortonesi, non si smentisce mai e regala ai nuovi partecipanti al corso il suo personale benvenuto nel mondo del Timorasso: freschezza, sapidità, persistenza, complessità di erbe essiccate e panorami soleggiati… un bicchiere spaziale!

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Cantine Barbera, Arèmi 2016. Catarratto

ARÈMI 2016, Cantine Barbera. Marilena Barbera, da Menfi, nella Valle del Belice, spreme tutto il suo amore per la Sicilia nei vini che produce. L’oro di questo Catarratto, figlio tipico di quella terra, rifulge sapide e denso, ricco di una complessità e di una morbidezza che hanno saputo affascinare tutti i partecipanti. Goloso e ricco.

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Grosjean Freres, Torrette 2015. Petit Rouge, Vien de Nus, Fumin, Cornalin

TORRETTE 2016, Grosjean. Nel paese di Quart si radica la produzione dei fratelli Grosjean: Hervé, Simon, Mathieu, Didier, Josianne. Tutta la forza e la discrezione della montagna, nel tipico vino rosso della tradizione valdostana: Petit Rouge, Vien de Nus, Cornalin, Fumin. Un calice che offre il piccolo frutto rosso e subito dopo le note tostate e terrose dei grandi da evoluzione.

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Colleluce, Brecce Rosse 2011. Vernaccia Nera di Serrapetrona, Merlot

BRECCE ROSSE 2011, Azienda Colleluce. La simpatia travolgente di Franca Malavolta ci aveva introdotto alla scoperta della Vernaccia Nera di Serrapetrona. Da questo angolo nascosto delle Marche andiamo a pescare questo granato prezioso, fatto di spezie e di note balsamiche, di corposità zuccherina e freschezza finissima. Un calice che non dovrebbe finire mai!

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Sapore di mare, II edizione

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Chiusa la stagione con l’evento Vini da Spiaggia, era praticamente d’obbligo riprendere le degustazioni al Club con la serata Ciao Mare!, seconda edizione di un incontro che vuole essere svagato e rilassante, piacevole e… buono da bere!

Gli amici che si sono raccolti al Sommelier Social Club hanno potuto brindare alle vacanze appena trascorse e godersi i cinque vini proposti in degustazione, provenienti da zone di mare: Marche, Sardegna, Sicilia, Liguria e Provenza. Cinque calici decisamente caratterizzati, prove interessanti e variegate di alcuni produttori artigianali selezionati per l’occasione.


MAI SENTITO!, La Staffa. Riccardo Di Baldi, Staffolo (AN)

La creazione del giovanissimo Riccardo si conferma un vino di puro piacere: pulito, sapido, fresco e assolutamente espressivo del Verdicchio. Diremmo che non è più una sorpresa, ormai: già proposto in alcune altre serate ha sempre raccolto i migliori commenti. Provvedere a rimpinguare la cantina: un rifermentato ancora tutto da godere, in questo bel finale di stagione estiva!

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PANZALE 2017, Cantina Berritta, Antonio e Maria Paola Fronteddu, Dorgali (NU)

Quando si dice “vino raro” non dobbiamo per forza correre con la fantasia a zone esotiche o extra-terrestri… Cantina Berritta è l’unico produttore del Panzale in purezza, un vitigno assolutamente sconosciuto e praticamente dimenticato, radicato nella storia e nelle tradizioni della sua zona d’origine, Dorgali. Una beva non immediata, un vino che richiede un certo tempo d’apertura e che regala, lentamente, sentori mediterranei di macchia, di erbe, di sole… Una salinità lancinante mi fa innamorare ogni volta che lo incontro!

MODUS BIBENDI GRILLO 2017, Elios. Nicola Adamo e Guido Grillo, Alcamo (TP)

Un vino progettato in maniera assoluta. Produzione naturale senza la minima sbavatura, che incanta, ipnotizza, affascina, sorprende… Il vitigno supremo di Sicilia in tutta la sua gloriosa nobiltà: acidità affilata, sapidità finissima, morbidezza sferica e assolutamente integrata. Dai sentori di frutti maturi, con un tocco di esotico e di agrumato, alle erbe aromatiche e alla sfumatura balsamica. Una degustazione che vira all’eleganza da subito, senza mezzi termini: applausi!

VERMENTINO 2015, Le Rocche del Gatto. Fausto de Andreis, Salea di Albenga (SV)

Un protagonista di lungo corso delle serate del Club, Fausto de Andreis: tutte le sue produzioni assaggiate in svariate occasioni e verticali. Questa sera ancora riusciamo a sorprenderci ed è forse questo il maggior miracolo del vino: la scoperta è infinita. Un gioiello d’oro intenso e denso, questo Vermentino 2015. Effluvi fruttati di chinotto, erbacei di officinali, terziari di idrocarburo appena appena accennato in fondo in fondo. E l’assaggio è una cadenza di tutto, ritmata su una acidità che lavora dietro le quinte a bilanciare una polpa davvero succosa, una sapidità sottile e intensa… un capolavoro.

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TAVEL 2016, Chateau d’Aqueria. Bruno e Vincent De Bez, Tavel (Côte du Rhone)

La Francia in tutto il suo splendore marittimo, non c’è che dire! Il caratteristico e affollato blend di uve del sud, con la Grenache a primeggiare, per un calice intenso già dal colore, lontano dalle paillettes rosa shocking dei Provenza più diffusi. Dalle note classicissime di piccoli frutti rossi, ciliegia e fragole, si scende in profondità verso la macchia mediterranea, le erbe officinali, la salsedine. Un bel sorso sapido e persistente, una degna degustazione di chiusura.

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Ciao Mare 2, serata degustazione vini di mare. La Staffa, Mai Sentito!. Cantina Berritta, Panzale 2017. Elios, Modus Bibendi Grillo 2017. Rocche del Gatto, Vermentino 2015. Chateau d’Aqueria, Tavel 2016. Sommelier Social Club, Nerviano, Milano
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Intervista a Ines Perta

La Rubrica di Ines Perta, logo
Alcuni dei nostri più affezionati seguaci avranno già notato il nuovo appuntamento che campeggerà d’ora in poi sulle pagine del blog. Una rubrica di divagazioni birrarie, di assaggi entusiasti, di chiacchiere appassionate… La Rubrica di Ines Perta!
Oggi pubblichiamo l’intervista che siamo riusciti a strappare a Ines… una piccola chicca per scoprire un paio di interessanti curiosità sul suo conto!
 
La tua predilezione di bevitrice si rivolge sia alla birra che al vino?
Sì sì, confesso che ero un’astemia conclamata: la birra mi sembrava amarissima e il vino mi dava subito alla testa, troppo alcolico! Ma negli ultimi anni la mia burbera metà e gli amici mi hanno fatto cambiare idea! 
 
Potresti raccontarci come nasce la tua curiosità verso la birra? O forse è meglio parlare di vera e propria passione?
La curiosità nasce assaggio dopo assaggio: all’inizio dai bicchieri degli altri e poi pian piano al Pub di birre dalle belle etichette (si, lo confesso!). All’improvviso sono comparse tante proposte diverse e… sorpresa sorpresa, mi sono sembrate sempre meno amare e uniformi. Probabilmente mi sono fatta un po’ il palato. Poi è bastata qualche serata di degustazione a spalancarmi un mondo ed è arrivata la passione!
 
Credi esista questa netta distinzione tra birre artigianali e birre industriali, come tra vini naturali / convenzionali?
Allora, sicuramente l’artigianalità si sente nei gusti più netti, nelle proposte più originali e nei vini il giorno dopo non ci sono fastidiosi postumi. Detto questo, ci sono birre della grande distribuzione che bevo volentieri, magari per un pranzetto super semplice.
 
Che cosa ti spinge a raccontare le tue degustazioni sul web?
Un piccolo divertissement per punzecchiare il mio espertissimo marito, sempre tecnico e preciso. Chi, come me, non riconosce mai un profumo e confonde i nomi degli stili, riuscirà a capirci qualcosa.
 
Hai una tua cantina personale a casa?
Piccola piccola ma ben frequentata!
 
Quando esci a mangiare anche solo una semplice pizza, cerchi il locale in base alla carta delle birre?
No, in base alla buona pizza! Ma se esco per bere, cerco un posticino con una buona offerta, che abbia sempre nuove etichette in lista. E poi ho alcuni locali di fiducia per le serate speciali.
 
Senza pensarci troppo, la tua birra preferita?
No no, non ci casco! Mi piacciono un sacco di cose e dipende dalla serata, dal cibo, dall’umore… Farò la romantica e ti dirò la Mariage Parfait di Boon, una birra per tutte le stagioni.
 
Non ci resta che ringraziare Ines per questo tempo che ci ha gentilmente dedicato. Curiosi di tutto il mondo e easy-drinker, siete avvisati: non avrete più giustificazioni per non farvi trascinare nell’appassionante mondo di Ines Perta! E mi raccomando: bevete curiosamente!
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Tre Lager a confronto

Che caldo! Per fortuna la frescura del supermercato mi dà un po’ di tregua… Mi aggiro, curioso, prendo due succhi e poi… mmm, cosa c’è da quella parte? una parete intera di BIRRA!!! Mi ci avventuro col carrello, lo confesso… non ultimo, per contrariare un po’ la mia dolce e burbera metà, che vuole sempre mettermi in guardia dai pericoli della spesa birraria al supermercato!

Come scegliere? Ho pensato: partiamo con qualcosa di italiano che ho già sentito nominare… e poi un po’ di senso estetico che non guasta, una bella etichetta ti predispone bene, no? (mah, sotto questo aspetto si può migliorare vedo!) Allora prendo un po’ di birre a caso, tutte diverse che se no mi annoio, ma facciamo che siano “lager”, suona un po’ come leggero, quindi perfetto per cominciare. E ora, avanti marche, alla cassa.

Birra Menabrea, La 150° Bionda
Ha un bel colore, dorata e limpida. E anche una bella schiuma bianca: non dura molto, questo è vero, ma forse tanto fa anche il modo che si ha di versare? Il profumo, mi sembra accattivante, ma non saprei dire precisamente cosa mi ricorda. Aspetta che mi concentro un po’,  in effetti tutto quello che riesco a dire è: forse è talmente semplice che quello che sento non ha nemmeno una descrizione… Però è frizzante e bella fresca di frigo. Sapore vagamente dolciastro e anche un po’ amarognolo: io, però, ho una certa avversione per l’amaro e lo sento subito (anche dove non c’è, qualcuno mi bacchetta!). Alla fine penso che con un panino very easy, magari non ci sta neanche male. Mi sembra sempre che sia inutile stare a spendere tanto, quando si deve mangiare e bere velocemente!

La voce di mio marito: una birra che non ha ragione di esistere.

Supermercato Tigros | Bottiglia 33 cl, € 1,38

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Birra del Borgo, Lisa
Ah, che bella luce dorata anche qui! E la schiuma sembra davvero una panna! 
Indubbiamente i profumi sono più particolari: qualcosa che ritrovo anche nella scatola delle spezie, quella là sopra la cappa della cucina. Magari anche qualcosa che arriva dal cesto della frutta? Così mi sembra… Mi aiuto un attimo e sbircio l’etichetta: ta-dah! Scorza d’arancia! Quante cose, per essere una birra semplice: mi informerò sul discorso Lager e vi terrò informati! Assaggiandola, però, non ha quel bel sapore fresco del frutto, mi sembra tenda un po’ troppo al saponoso… come quando ho esagerato con la lavanda nella marmellata di prugne! Ma comunque: non male, e anche la grafica dell’etichetta è gran bella!

La voce di mio marito: molto semplice, ma non fastidiosa.

Supermercato Tigros | Confezione 3x 33 cl, € 3,36

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Birrificio Angelo Poretti, 4 Luppoli
Anche il terzo bicchiere conferma delle caratteristiche già viste prima: il bel colore dorato, la schiuma bianca… Eh eh, sto quasi assumendo un tono tecnico, vero? Ah ah! 
Il profumo è molto simile alla prima birra, quel miscuglio che rimanda a cose un po’ dolci, ma indefinite. L’assaggio, magari mi illumino. Eh, caspita, è proprio dolce! Ma non come una cheesecake, un dolce un po’ appiccicoso… urge sbirciare gli ingredienti: sciroppo di glucosio! Beh, per essere morbida è morbida, come leggo sull’etichetta. Ma la generosa luppolatura (che, mi dicono, dovrebbe portare un bell’amaro)? In definitiva, non so… forse un altro panino facile facile?

La voce di mio marito: quattro luppoli in croce non fanno una “generosa luppolatura”!

Supermercato Tigros | Bottiglia 66 cl, € 1,42

Cordialmente vostra, Ines Perta.

Bevete curiosamente!

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Il primo corso a domicilio

La sera d’autunno ti predispone agli incontri.

Il fresco, là fuori, con i bagliori rossi dei semafori e le biciclette parcheggiate al palo della luce, ti spinge a camminare sorridente e pensare che manca poco all’incontro con amici e altre persone nuove. Lo zainetto con le bottiglie è il mio prezioso carico didattico. Appoggio i cartoni dei bicchieri vicino all’inferriata d’ingresso e scatto una foto: come quelle polaroid stinte, che una volta riprendevano una strada, la schiena di un passante, il fanale di un’auto che passa.

Stasera si comincia: lezioni a domicilio, per incuriosire altre persone al mondo del vino. Per dire che questo è ciò che mi piace fare e perché frasi del tipo “tanto non ci capisco niente” devono lasciare il tempo che hanno trovato…

Strette di mano e presentazioni e tavola che si va ad imbandire con la luce dei calici trasparenti. L’atmosfera di casa è sempre impagabile per sentirsi a proprio agio, per far sì che tutti abbiano la voglia di proporre un’idea, di mettersi in gioco con un azzardo. Il vino, poi, farà il resto: offrirà lo spunto dei commenti, regalerà via via l’entusiasmo della chiacchiera e farà stare bene tutti, come sempre quando è sincero.

Ci siamo dimenticati di fotografare i calici pieni, da contrapporre all’inizio immacolato dei vetri vuoti… Siam rimasti rapiti: tante cose da voler scoprire, tanto da voler raccontare.

PINOT NERO METODO CLASSICO BRUT, 2014

Torre degli Alberi

Bollicine, assolutamente, per dare inizio alla festa!

Un bel calice giallo dorato e una effervescenza [perlage? Siamo in Italia, dopotutto, no?] fine con belle bollicine numerose. Sentori classici di panetteria, certo, ma già un bel naso che ammicca al floreale, ai petali gialli e al nettare polveroso e abbondante. Il sorso, del resto, è pieno, carico di sostanza: una sorta di pane in cassetta liquido. C’è la crosta e la ginestra, nelle sensazioni retronasali; c’è la polvere di lievito e la polpa di un frutto zuccherino. L’assaggio riempie la bocca, la carbonica è fresca e giustamente stuzzicante, l’acidità invade le arcate e il palato e il tutto è equilibrato dalla carnosità del Pinot, dall’estratto di bucce comunque scure.

KERNER, 2014

Società Agricola Zanotelli

“Secondo me viene dal Trentino” è una dichiarazione che già la dice lunga sul livello della classe! E così è, ovviamente. Veste limpida, tra il paglierino e il giallo oro. Il naso è subito rapito dalle note del terreno, più che da sentori aromatici: a bicchiere fermo, quasi un accenno, una nota appena, di terziario, di goudron. Poi spazzata dalla prima rotazione, ma persiste il discorso minerale, il sasso, che lascia spazio per indovinare una certa polpa matura, là sotto. Si affaccia il fruttato, in abito giallo e maturo, la pesca, il melone addirittura… Evolverà ancora, con tempo e temperatura, per approdare finanche al tropicale, alla maracuja.

La bocca, di pari passo, ci conferma la mineralità e accende quelle sensazioni amare di sali, quel grip a centro lingua delle fave di cacao tostate. La polpa è fisicamente presente: è un sorso quasi masticabile, pieno, molto ben giocato sulle note di morbidezza, che prendono il sopravvento sull’acidità esuberate e spiazzano un po’ chi ricordava le vinificazioni altoatesine.

DOLCETTO D’ASTI, 2015

Società Agricola Pianbello

Il bicchiere della convivialità, di fatto. Il vino quotidiano per tradizione langarola, ma che ripudia ogni banalità. Bel rubino vivo, limpido e di riflessi porpora acceso. Profumi che son tutti del bosco in penombra, con i frutti scuri della mora, il rosso del lampone e un accenno di vegetale ancora verde che ci rimanda a qualche bacca ancor da maturare.

E, infatti, eccolo il sorso a sorprenderci un po’: un ingresso di tendenza morbida apre poi il sipario ad un tannino rampante, un gusto decisamente gastronomico che richiede carne e ciccia. Belli i richiami al fruttato da marmellata che il naso ci ispirava, con una energia acida che sostiene l’assaggio.

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Bianco Borgogna

La Borgogna d’ampio respiro va in scena questa sera al Sommelier Social Club di Nerviano. Cinque vini selezionati per rappresentare le proprie zone di elezione, i cinque terroir che compongono il mosaico della Grande Bourgogne, spesso confusa con la sola esile striscia della Côte d’Or. Chablis, Côte de Nuitse Côte de Beaune, Côte Chalonnaise, Maconnais: ogni terra il proprio alfiere per raccontare le diverse geografie e le diverse ampelografie, di fama mondiale quanto – più spesso di quanto si creda – misconosciute o addirittura ignorate.

Le strutture dei vini, la matrice comune, la storia della Borgogna o delle singole realtà: tutto gioca nel render complicato stilare un ordine, perché sempre si vorrebbe lasciare il vino migliore per ultimo… ma quando l’ottimo è la media?

In barba ad ogni convenzione accademica, la serata non procede per vendemmie successive, né per gradi alcol ascendenti: Borgogna, culla delle AOC, ci dà l’estro di incedere per denominazione crescente. Regionale, Village, Premier Cru: ecco la parata dei protagonisti.

BOURGOGNE BLANC AUX AVOINES 2013

Domaine Jean Fournier

Una frusta fatta di ardesia acuminata. Se il buongiorno si vede dal mattino, qui la faccenda si fa subito molto spessa e ce ne andremo a casa con la lingua a pezzettini… Ho pensato, appena assaggiato un sorso del dirompente Pinot Blanc – con un saldo di Pinot Beurot – del giovine Laurent, attuale conduttore del Domaine Jean Fournier.

Una staffilata minerale, si diceva, che mette subito le carte in tavola riguardo la matrice da considerare quando si parla di Borgogna e, specialmente, di bianchi di Borgogna. Un naso che non ammette dubbi sulla provenienza, tutto dedicato al sasso, alle schegge di lavagna, al piretro finanche, con quella salva di petardi che ci si porterà avanti fino a fine serata, almeno un paio d’ore dopo. La bocca segue con medesima cadenza e non lascia scampo: il sale è ovunque e scalda e riempie di sapori amari che rimandano al tostato delle fave di cacao. Un finale lunghissimo, più sottile, sempre sulla scia minerale e sapida.

BOUZERON 2013

Domaine A. et P. De Villaine

Un momento di tregua. A voler contrastare la veemente vitalità giovanile di Laurent Fournier, ecco che i signori De Villaine – aristocrazia vitivinicola delle più ammirevoli al mondo – ci concedono quasi il lusso di un salotto d’epoca, con il loro Bouzeron. Rese per ettaro ridotte all’osso per un vino che nasce da uve poste in altura lungo i pendii e che beneficia in questo modo di una particolare concentrazione aromatica, inusuale e anzi rara per l’Aligoté.

Un naso calmo, morbido, giocato su delicate note di polpa gialla sopra un impianto iodato che non ci vuole far dimenticare la matrice marina anche di questo angolo borgognone nascosto.

Il sorso scalda la bocca, in modo misurato e rapido, la proverbiale acidità delle uve è presente in maniera gentile e la sapidità del terroir sostiene bene la rotondità importante di tutto l’impianto. Davvero un calice molto equilibrato, saporito e dal finale piuttosto persistente, sui toni lievi del frutto e di piccoli fiori gialli.

VIRÉ-CLESSÉ QUINTAINE 2015

Guillemot-Michel

Alfieri di una agricoltura che non sia altro che natura, Pierrette, Marc e Sophie distillano un nettare che è la quintessenza della spontaneità: il calice che avrei di certo indicato dovendo puntare il dito sul vino più “naturale” – o come diavolo lo si voglia in ogni modo chiamare, in questi tempi di comunicazioni impazzite – tra quelli in degustazione.

Da questo assaggio entriamo nelle vigne di Chardonnay. Con passo lento, per non perderci nulla della bellezza: che è tanta, in questo vino. Il sostrato comune alla Borgogna è subito lì a raccontarci del mare, delle rocce: un naso pieno e piuttosto contenuto, non ha gli slanci pirotecnici di Fournier, né le sedute morbide di De Villaine, quanto un equilibrio nuovo fatto di calore, che rimanda alla campagna fiorita di selvatici e alla sabbia, e di freddo, che rimanda al mondo minerale di sotto. Il sorso sembra essere più denso, con una complessità mirabile in cui è difficile distinguere tratti di natura che non siano il terroir puro e semplice: sa di tante cose, Quintaine, ma sa solo del posto da cui arriva.

CHABLIS 1ER CRU BUTTEAUX 2014

Domaine Pattes Loup

Altissima l’aspettativa, quando la posta in gioco è Chablis. Per quanto mi riguarda, assolutamente mantenuta. Un altro giovane di idee rampanti, di mano sapiente, di occhio comprensivo e riconoscente: Thomas Pico ha convertito il padre alla biodinamica e noi appassionati ad una nuova fede nello Chablis.

Il portone è pressoché sprangato. Naso ritroso, quasi troppo introverso per poter dire alcunché: c’è bisogno di pazienza, null’altro, perché la caratura è indubbia e non dobbiamo pensare al vino con i tempi cui siamo abituati a pensare alle connessioni social… Eccola, infine, la matrice che emerge, sottotraccia come un magma bollente al riparo di una lastra impenetrabile: lì dentro c’è il minerale grezzo, c’è il terroir che fa sentire le sue vampate di scisto. Un sorso, infine. Che bordata! La bocca non ha nulla di timido a dichiararsi caldissima, acida e salina, in una esplosione che scalda ben oltre l’alcol contenuto nel vino. L’attacco è sorprendente quanto repentino, per lasciare spazio al riconoscimento delle diverse componenti: l’acidità pungente sui bordi; il sale minerale che grippa sul palato coi suoi sentori di tostato, di cacao sbriciolato; la struttura che crea una qual minima rotondità dove poter assaporare la polpa di qualche frutto immaginifico.

Quale discrepanza incredibile tra olfatto e gusto, che ci racconta del mondo sotterraneo che si è creato nelle epoche geologiche con lo schiacciamento del fondale e l’evaporazione del mare, e del rivolgimento successivo della crosta terrestre, quando i fossili delle conchiglie sono tornati in superficie a dar dimora a queste viti.

PULIGNY-MONTRACHET 1ER CRU LA GARENNE 2011

Domaine Larue

Quando c’è da chiedere permesso, si chiede permesso, non c’è altro. Avvicinarsi allo smeraldo del Montrachet è sempre causa di certa emozione e, sebbene guardato da certa distanza, la sua luce verde irraggia di magia anche l’opera di Denis, Bruno e Didier Larue, una famiglia dedita alla propria terra d’elezione.

Chardonnay, non c’è dubbio. Chardonnay borgognone, ancora meno. Inutile sforzarsi di indagare e spulciare e utilizzare una lente d’ingrandimento maggiore: una volta individuati questi due capisaldi, quello che il naso rileva è il legame inscindibile tra il terreno e il bicchiere, l’uva come veicolo di terroir e non come frutto. Si torna all’inizio – con i richiami lampanti alla matrice minerale che sottende tutte le degustazioni – verso il primo calice assaggiato: ma con quanta grazia maggiore, con quanto equilibrio sottile e perfetto. La pietra bagnata, quel delicatissimo tostato da caramello di bella pasticceria e un accenno appena di lattico, forse prodromo di una più marcata e voluttuosa burrosità degli anni a venire.

Il sorso è proprio quello Chardonnay, fatto di eleganza e finezza, con rimandi assolutamente corrispondenti a quanto esposto dal naso: bocca sorpresa da bella acidità, poi scaldata dalla struttura del vino, quindi pulsante di sapidità espressa e, infine, accarezzata da un velo morbido di setosità, di crema di latte.